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La fiscalità delle Società immobiliari: guida 2024 per le imprese di costruzione, compravendita, gestione e godimento degli immobili.
eBook in pdf di 268 pagine.
Il presente lavoro ha ad oggetto la gestione fiscale e contabile degli immobili da parte delle società immobiliari, intendendosi per tali sia le società di gestione immobiliare (che si occupino della locazione a terzi di immobili, strumentali o abitativi), sia le società di compravendita (che acquisiscano gli immobili, già ultimati o in corso di costruzione o da costruire su aree edificabili, per poi collocarli sul mercato immobiliare, rivolgendosi a privati o imprese).
È noto, infatti, che la detenzione di beni immobili (abitativi o strumentali) a titolo personale può non essere una scelta ottimale. L’investimento immobiliare, come tutti gli investimenti, è soggetto ad alcuni rischi, ma anche la persona che investe potrebbe trovarsi a rischiare la perdita del proprio patrimonio investito (magari in caso di insolvenza in presenza di mutui fondiari, creditori personali, etc).
Per esigenze di tutela del patrimonio da aggressioni personali di terzi e per veicolare i proventi, derivanti dalla messa a reddito di beni immobili, può essere valutata l’opzione di costituire una società di gestione immobiliare. Questa, a seconda dei casi, può essere costituita sotto forma di società di persone o di società di capitali (nel caso, la forma più utilizzata è la SRL).
La guida che viene proposta si offre appunto come ausilio per le società di persone in contabilità ordinaria e per le società di capitali, sia quelle di piccole dimensioni che quelle soggette, mediante il cd. principio di derivazione rafforzata, ai principi contabili nazionali; non mancano tuttavia, ove necessari, i riferimenti alle società di persone in contabilità semplificata e alle società che adottano i principi contabili internazionali.
Per molti aspetti l’opera può anche interessare le imprese di costruzione edile.
L’interlocutore a cui ci si rivolge è non solo il professionista, ma anche l’amministratore che, in tema di fiscalità immobiliare, voglia per così dire “metterci la testa”, che intenda cioè provare ad entrare in un linguaggio che in prima battuta può sembrare decisamente oscuro, ma che, con un po’ di attenzione, magari leggendo e rileggendo, si riesce un po’ a penetrare.
Nella disamina degli eventi in cui possono via via imbattersi le società in questione (acquisti, vendite, locazioni, ammortamenti, valutazioni, rivalutazioni, svalutazioni, leasing, ecc.), particolare attenzione è stata posta alle numerose divergenze che, in tema di immobili, di frequente si presentano tra la normativa civilistica e quella fiscale e che necessitano delle conseguenti variazioni, in aumento o in diminuzione, nella dichiarazione dei redditi.
Ogni istituto è stato affrontato tenendo conto delle varie qualificazioni degli immobili (immobili merce, immobili strumentali, immobili patrimonio, senza dimenticare peraltro i fabbricati rurali).
Per quanto riguarda l’imposizione indiretta uno spazio rilevante è stato dedicato alla spigolosa problematica della detrazione dell’IVA nell’acquisto degli immobili.
Per molte fattispecie riscontrabili nella realtà gestionale si è cercato di citare con esattezza la norma che la disciplina, il cui testo è ampiamente riportato in nota, ed i principi contabili nazionali; si è in tal modo consentito al lettore di farsene un’idea personale, giungendo magari, in relazione al problema, ad una conclusione diversa da quella esposta dall’autore.
La normativa è stata commentata soprattutto con la prassi dell’Agenzia delle Entrate, non perché quest’ultima abbia sempre ragione nell’interpretazione delle disposizioni di legge, ma innanzitutto per la chiarezza di esposizione e di analisi di molte pronunce; inoltre, in fase di prima impostazione di un’operazione, si è ritenuta opportuna un’adeguata cognizione dei rischi di un accertamento.
Ove possibile, tuttavia, non si è mancato di riportare anche le pronunce della Corte di Cassazione e della più autorevole dottrina.
Introduzione
1. Cenni generali
1.1 L’attività e la forma giuridica delle società immobiliari
1.2 La classificazione degli immobili
1.2.1 I beni relativi all’impresa
1.2.2 Gli immobili merce
1.2.3 Gli immobili strumentali
1.2.4 Gli immobili patrimonio
1.2.5 Riepilogo della classificazione degli immobili
1.3 Cenni sulla determinazione del reddito d’impresa
1.4 Le società di comodo
1.5 Le società di investimento immobiliare quotate (SIIQ) e non quotate (SIINQ)
2. L’acquisto di immobili
2.1 L’acquisto di immobili e l’imposizione indiretta: premessa
2.2 L’acquisto di immobili e l’imposizione indiretta : i fabbricati strumentali per natura ceduti da soggetto IVA
2.3 L’acquisto di immobili e l’imposizione indiretta: i fabbricati abitativi ceduti da soggetto IVA
2.4 L’acquisto di immobili e l’imposizione indiretta: i fabbricati rurali abitativi ceduti da soggetto IVA
2.5 L’acquisto di immobili e l’imposizione indiretta: i terreni ceduti da soggetto IVA
2.6 L’acquisto di immobili e l’imposizione indiretta: gli immobili ceduti da soggetto privato
2.7 L’acquisto di immobili e l’imposizione indiretta: le prestazioni di servizi incrementative delle aree o dei fabbricati non ultimati acquistati
2.8 L’acquisto di immobili e l’imposizione indiretta: i beni finiti da utilizzare nelle costruzioni su aree o su fabbricati non ultimati acquistati
2.9 L’acquisto di immobili e la detrazione dell’IVA
2.10 L’acquisto di immobili merce: aspetti relativi al reddito d’impresa ed alla contabilità
2.11 L’acquisto di immobili strumentali: aspetti relativi al reddito d’impresa ed alla contabilità
2.12 L’acquisto di immobili patrimonio: aspetti relativi al reddito d’impresa ed alla contabilità
3. La cessione di immobili
3.1 La cessione di immobili e l’imposizione indiretta: premessa. Rinvio
3.2 La cessione di immobili e l’imposizione indiretta: i fabbricati strumentali per natura
3.3 La cessione di immobili e l’imposizione indiretta: i fabbricati abitativi
3.4 La cessione di immobili e l’imposizione indiretta: i fabbricati rurali abitativi
3.5 La cessione di immobili e l’imposizione indiretta: i terreni
3.6 Riflessi della cessione di immobili sulla detrazione dell’IVA
3.7 La cessione di immobili merce : aspetti relativi al reddito d’impresa ed alla contabilità
3.8 La cessione di immobili strumentali: aspetti relativi al reddito d’impresa ed alla contabilità
3.9 La cessione di immobili patrimonio: aspetti relativi al reddito d’impresa ed alla contabilità
4. La locazione di immobili
4.1 La locazione di immobili e l’imposizione indiretta
4.2 Riflessi della locazione di immobili sulla detrazione dell’IVA
4.3 La locazione di immobili e gli adempimenti IVA
4.4 La locazione di immobili: aspetti relativi al reddito d’impresa e alla contabilità
5. Il leasing immobiliare
5.1 Cenni generali
5.2 Il criterio contabile patrimoniale del leasing finanziario
5.3 Il criterio contabile finanziario del leasing finanziario
5.4 Il criterio contabile del leasing operativo
5.5 Il criterio contabile del principio di derivazione rafforzata (per i soggetti IAS/IFRS)
5.6 Deduzione dei canoni di leasing da parte delle società di persone in contabilità semplificata
5.7 Il contratto di sale and lease back
5.8 L’imposizione indiretta dei contratti di concessione in leasing finanziario
5.9 L’imposizione indiretta della cessione dei contratti di leasing finanziario
5.10 I riflessi del leasing sulla rettifica della detrazione dell’IVA
5.11 La deducibilità dei canoni di locazione finanziaria ai fini IRAP
6. Il possesso e la gestione ordinaria degli immobili
6.1 L’ammortamento degli immobili
6.2 La rilevazione delle rimanenze
6.3 Gli immobili di interesse storico e artistico
6.4 La rivalutazione dei beni immobili
6.5 La svalutazione dei beni immobili
6.6 Immobili detenuti all’estero da parte di società residenti in Italia
6.7 Le società immobiliari e l’IMU
6.8. Le spese di manutenzione, riparazione e trasformazione
Servizio di analisi ai fini della determinazione dell’origine preferenziale o non preferenziale (Made In Italy) del singolo prodotto attraverso la mappatura dei processi aziendali (contratti con i fornitori/clienti) e delle relative regole per individuare il Paese di origine preferenziale (o non preferenziale) delle merci.
La determinazione dell'origine della merce è un aspetto spesso complesso da gestire nei flussi commerciali internazionali; l'esatta individuazione del Paese di origine della merce è essenziale per una corretta liquidazione dei diritti doganali dovuti e per non incorrere in relative sanzioni previste in caso di mancata osservazione di restrizioni all'importazione o all'esportazione.
In sostanza, quando si parla di origine della merce nel commercio internazionale, bisogna fin da subito soffermarsi sulla netta distinzione tra il concetto di provenienza (della merce), e il concetto di origine (della merce) doganalmente inteso che, a sua volta, si distingue tra origine preferenziale e origine non preferenziale.
In estrema sintesi, si può dire che la merce che risponde alle regole di origine preferenziale consente all’importatore di beneficiare di agevolazioni daziarie riconosciute e disciplinate, in modo reciproco, dagli Accordi commerciali che l’UE conclude con i Paesi terzi . Diversamente, l’origine non preferenziale consente di determinare il Paese di produzione del bene (c.d. Made in), informazione utile al fine di individuare eventuali misure all’esportazione ed importazione quali divieti, contingenti, dazi antidumping e compensativi o dati sull’origine da indicare in etichetta.
Il servizio verrà gestito in tre fasi:
Servizio di analisi di classificazione doganale relativo al singolo prodotto di interesse, alla luce della normativa e della giurisprudenza comunitaria di riferimento, attraverso l’analisi delle caratteristiche merceologiche del bene per poter individuare l’aliquota daziaria ed eventuali misure restrittive (autorizzazioni, licenze).
Qualsiasi operazione commerciale internazionale fuori dai confini europei in un flusso export o in import, necessita di determinare la natura delle merci, ovvero, di attribuire un preciso codice doganale.
La corretta classificazione della merce deve avvenire tenendo conto delle fonti legalmente vincolanti, ed eventualmente facendo riferimento a fonti legalmente non vincolanti.
La classificazione doganale delle merci è dunque un aspetto importante del processo di conformità doganale. Non individuare correttamente il codice doganale della merce di interesse può avere un forte impatto finanziario sul proprio business. In generale, classificare doganalmente i prodotti di interesse permette di conoscere il corretto trattamento daziario ed eventuali misure extra tributarie associate al prodotto.
Il servizio verrà gestito in tre fasi:
Il presente testo, approfondendo sia il lato economico sia quello tecnico, vuole essere una vera e propria guida operativa per chiunque voglia trasformare la propria realtà in un’azienda ecosostenibile, associando il proprio brand al concetto di “sostenibilità”, producendo ricchezza, valore e, dunque, utile.
Il volume vuole fornire una sistematizzazione degli strumenti e delle iniziative attualmente disponibili per portare le imprese a bordo dell’agenda della sostenibilità e spingere i piccoli e medi imprenditori ad adottare modelli di business più responsabili dal punto vista ambientale, sociale e di governance, senza dimenticare le barriere principali alla transizione sostenibile delle aziende, legate a fattori istituzionali ma anche organizzativi e individuali: mancanza di competenze interne, di risorse finanziarie, di strumenti dedicati alle PMI, limiti burocratici, carenza della domanda dei consumatori.
Per tali motivi questa guida ha il suo punto di partenza nel Bilancio di sostenibilità come strumento a disposizione dell’imprenditore, indirizzato a tutti gli stakeholder e utilizzato per la rendicontazione delle performance di sostenibilità, che permette alle aziende di affermare la propria missione e i valori perseguiti, di riconoscere e misurare le prestazioni e i miglioramenti economici, ambientali, sociali e di governance e, di conseguenza, fissare obiettivi e sviluppare strategie efficienti ed efficaci nel- la gestione dell’organizzazione e del cambiamento.
La competitività delle aziende dipenderà sempre più dalla loro capacità di generare valore, di limitare l’uso di risorse e il consumo di energia, di evitare impatti negativi e di massimizzare gli effetti positivi, continuando a creare posti di lavoro, prodotti e servizi di alta qualità e sostenibili.
Obiettivo del libro è dunque aiutare le aziende a costruire una solida “reputation”, attuando le migliori pratiche e perseguendo processi ben pianificati che agevolano il percorso di crescita in tale ottica.
Monica Peta
Commercialista, Revisore Legale, PhD, componente della Commissione Reporting di Sostenibilità CNDCEC, è autore di pubblicazioni e docente di Corsi e Master universitari sulla rendicontazione e bilanci di sostenibilità.
Fabrizio Santori
Funzionario pubblico, esperto di Modelli di simulazione aziendali e di business game, docente di strategia d’impresa ed imprenditoria agricola professionale e di Master Agribusiness.
Alessandro Botti
Avvocato e docente universitario, esperto in diritto dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile, è Presidente del Consiglio direttivo di Ambiente Mare Italia, ETS.
Gabriele Felici
Commercialista, Revisore Legale, Partner di Bernoni Grant Thornton, è componente della commissione di Sostenibilità “Asseverazione e Certificazione” CNDCEC, docente della Scuola di Polizia Economica-Finanziaria della G.d.F.
Valerio Valla
Fondatore e Ceo di Studio Valla, consulente in pianificazione strategica di programmi comunitari e fondi strutturali, docente presso il Centro Studi enti locali di economia dell’Università di Pisa.
Premessa
Parte I
RENDICONTAZIONE SOCIETARIA DI SOSTENIBILITÀ E ANALISI DELLA DOPPIA MATERIALITÀ (di Monica Peta)
Introduzione
1 La responsabilità sociale dell’impresa, Corporate Social Responsability, “CSR”
1.1 La “Corporate Social Responsability” e la definizione di sostenibilità: origini ed evoluzione storica
1.2 I principi entrano nella norma: direttiva (EU) 254/14: “Non Financial Reporting Disclosure”, “NFRD”, o “DNF”
1.3 Il framework normativo internazionale e nazionale
1.4 L’acronimo “ESG”: l’Agenda 2030
1.5 Il target 12.6 della rendicontazione di sostenibilità
1.6 La direttiva europea (UE) 2022/2464, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale europea il 16 dicembre 2022, “CSRD”
1.6.1 L’ampliamento della platea delle imprese
1.6.2 PMI e principio di proporzionalità: casi specifici
1.6.3 La rendicontazione degli “ intangibili” e il principio di digitalizzazione
1.6.4 L’Assurance
1.6.5 “G”, governance e compliance
1.6.6 La supervisione e l’enforcement, i tempi attuativi della direttiva
2 La rendicontazione di sostenibilità
2.1 CSR, accounting e accountability
2.2 Impact accouting e valore per l’impresa e gli stakeholder
2.2.1 Cinque dimensioni degli impatti delle imprese
2.2.2 Impatto ambientale
2.2.3 Impatto sociale
2.2.4 Impatto governance
2.3 I principi di rendicontazione della sostenibilità
2.3.1 I principi generali di rendicontazione europea nella CSRD
2.3.2 I contenuti degli ESRS dell’EFRAG
2.4 La Taxnomy Regulation UE n. 825/2020 : “mandatory” vs “voluntary use”
2.4.1 I sei obiettivi ambientali della Green Taxnomy, art. 9
2.4.2 I principi ESRS “Environmental”
2.5 La comprehensive corporate reporting societaria
2.6 L’ESRS 1: i requisiti di informativa e principio di interconnessione con il bilancio
2.6.1 I principi generali della CSRD
2.6.2 L’obiettivo di migliorare le informazioni
2.6.3 Il confronto ESRS vs GRI
2.6.4 Il passaggio dalla DNF “AS IS” alla CSRD “TO BE”
3 Il bilancio di sostenibilità
3.1 I principi generali e le fasi per la redazione del bilancio di sostenibilità
3.1.1 Gli obiettivi ESG o “strategic goal”: esempi
3.1.2 Identificazione degli stakeholder
3.1.3 “Stakeholder mapping”
3.1.4 Questioni di materialità, rischi ed opportunità: ESRS1 e ESRS2
3.1.5 L’analisi e la valutazione della qualità della Doppia materialità
3.1.6 Il principio di materialità negli standard setter
3.1.7 La Doppia materialità e la gestione degli adeguati flussi informativi
3.1.8 Target operativi e KPI
3.1.9 Disclosure e relazione sulla gestione societaria
3.2 La rendicontazione sostenibile per le piccole e medie imprese
3.3 La revisione e l’attestazione di conformità della rendicontazione societaria di sostenibilità
3.4 Reasonable assurance, gradualità e specializzazione del revisore
3.5 I bilanci OIC verso l’informativa sostenibile
3.5.1 Gli effetti dei cambiamenti climatici sul bilancio OIC e la gestione del rischio
3.5.2 Le incertezze significative e l’adeguata informativa
3.5.3 La perdita di valore, l’OIC 9
3.5.4 Adeguata informativa e relazione sulla gestione ex art. 2428 c.c.
3.6 Al banco di prova i nuovi principi: semplificazioni e criticità
3.6.1 Due diligence e dialogo con gli stakeholder: la direttiva europea (CSDD), i principi ESRS e le Linee guida dell’OCSE
3.7 IFRS S1 e IFRS S2, governance e clima nell’informativa finanziaria di sostenibilità aziendale
Parte II
LA SOSTENIBILITÀ NEL RAPPORTO BANCA E IMPRESA (di Gabriele Felici)
4 La sostenibilità nel sistema bancario, gli orientamenti EBA, il valore d’azienda e la finanza per lo sviluppo sostenibile
Introduzione
4.1 La rendicontazione di sostenibilità e la determinazione del valore creato
4.1.1 L’integrazione delle informazioni finanziarie e non finanziarie
4.1.1.1 Environment, Social, Governance (ESG): verso un nuovo equilibrio
4.1.1.2 Il quadro internazionale ed europeo vigente, gli sviluppi della disciplina europea
4.1.1.3 L’informativa sulla sostenibilità ESG, la rendicontazione (tra obbligo ed opportunità) ed i relativi standard
4.1.1.4 ESG, da tecnica di comunicazione a strategia di sostenibilità
4.1.1.5 La sostenibilità nei rapporti tra banca e impresa
4.1.2 Sostenibilità, creazione del valore e valutazione d’azienda
4.1.2.1 La creazione di valore condiviso (CSV), dalla compliance alla strategia
4.1.2.2 Il bilancio di sostenibilità e la componente economica
4.1.2.3 Il valore e la creazione di valore nelle aziende
4.1.2.4 Il Sustainable Business Model (SBM)
4.1.2.5 La valutazione d’azienda e l’ESG score (uno studio italiano)
4.2 Sostenibilità e adeguati assetti gestionali, l’approccio prospettico (forward looking) e la sostenibilità aziendale
4.2.1 Assetti organizzativi dell’impresa
4.2.2 L’adeguatezza degli assetti organizzativo, amministrativo e contabile nel nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza
4.2.2.1 La gestione d’impresa, il nuovo concetto e la definizione di crisi
4.2.2.2 La definizione funzionale degli adeguati assetti gestionali, i segnali e le segnalazioni quali nuovi strumenti di allerta
4.2.3 Sostenibilità ESG, l’integrazione negli assetti gestionali e nel sistema bancario
4.2.3.1 Assetti gestionali e sostenibilità ESG
4.2.3.2 Gli orientamenti EBA e l’integrazione ESG
4.3 Le linee guida EBA in materia di concessione e monitoraggio dei prestiti
4.3.1 Gli sviluppi regolamentari in ambito bancario relativi ai fattori ESG
4.3.2 Gli adeguati assetti gestionali e gli orientamenti EBA in ambito ESG
4.3.2.1 Il necessario approccio prospettico (forward looking) nelle nuove regole bancarie
4.3.2.2 Gli orientamenti EBA, oggetto e ambito di applicazione
4.3.2.3 Cultura e governance del rischio di credito, la capacità attuale e prospettica di rimborso del debito
4.3.2.4 Procedure per la concessione di prestiti, analisi finanziaria, di sensibilità, di BM e di strategia
4.3.2.5 Gli adeguati assetti gestionali necessari per un corretto rapporto con le banche
4.3.3 Integrazione di rischi e fattori ESG nel sistema bancario: la roadmap EBA sulla finanza sostenibile
4.4 Cenni di finanza sostenibile
4.4.1 La finanza per lo sviluppo sostenibile, definizione, scopo e ambito
4.4.2 Lo sviluppo della finanza sostenibile in Europa
4.4.3 Gli investimenti sostenibili e responsabili, strategie, quadro quantitativo e considerazioni di policy
4.4.4 Gli strumenti a disposizione, la convenienza, le prospettive e il punto di vista delle aziende
Parte III
INCENTIVI EUROPEI ALLA SOSTENIBILITÀ (di Valerio Valla)
5 Finanziamenti europei sulla sostenibilità
Introduzione
5.1 Il bilancio dell’Unione europea
5.2 QFP e Next Generation EU
5.2.1 QFP
5.2.2 Next Generation EU
5.3 Programme for environment and climate action (LIFE)
5.3.1 Nature & Biodiversity - Standard Action Projects (SAP) (LIFE-2023-SAP-NAT)
5.3.2 Circular Economy, resources from Waste, Air, Water, Soil, Noise, Chemicals, Bauhaus
5.3.3 Supporting the clean energy transition of European businesses
5.4 Horizon Europe
5.4.1 TRANSFORMATIONS-01-09: The role of social economy in addressing social exclusion, providing quality jobs and greater sustainability
5.4.2 BIODIV-01-5: Transformative action of policy mixes, governance and digitalisation addressing biodiversity loss
5.5 Just Transition Fund (JTF)
5.5.1 PSLF-PROJECTS
5.6 Fondi Strutturali e Programmazione 21-27
5.6.1 FESR Ricerca, innovazione e competitività per la transizione verde
5.6.2 PN FESR FSE+ METRO+ e città medie SUD
5.7 Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR)
5.7.1 Principio Do No Significant Harm (DNSH)
5.7.2 Missione 2 - Rivoluzione verde e transizione ecologica
Parte IV
IL RUOLO DELLA SOCIETÀ CIVILE PER LA VALUTAZIONE DELLA SOSTENIBILITÀ AZIENDALE (di Alessandro Botti)
6 Sviluppo sostenibile, bilancio di sostenibilità e ruolo dei portatori di interesse
6.1 Evoluzione del concetto di sviluppo sostenibile e il coinvolgimento del mondo produttivo e della società civile
6.1.1 Nascita del principio dello sviluppo sostenibile
6.1.2 Dal Global Compact ai criteri ESG: il mondo imprenditoriale chiamato al cambiamento
6.2 La sostenibilità dell’impresa come leva di competitività e riconoscimento del valore sociale della produzione
6.2.1 Dalla sostenibilità ambientale alla sostenibilità sociale ed economica
6.2.2 La visione dei consumatori sulla sostenibilità
6.2.3 La sostenibilità d’impresa come motore di cambiamento del rapporto tra l’azienda e i suoi clienti e partner
6.3 La direttiva CSRD: un nuovo patto sociale
6.3.1 L’emergenza planetaria e le ragioni di un nuovo impegno per il mondo della produzione
6.3.2 Dallo Shareholder capitalism allo Stakeholder capitalism: i “portatori d’interessi” protagonisti
6.3.3 Ampliamento delle aziende coinvolte e dei potenziali beneficiari: il bilancio di sostenibilità in continua evoluzione asseconda il dialogo sociale con gli stakeholder
6.3.4 La misurazione degli impatti ambientali
6.3.4.1 L’impronta ambientale e l’impronta di carbonio
6.3.5 Il GRI come misuratore degli standard di rendicontazione della sostenibilità aziendale
6.3.5.1 I nuovi standard europei per la rendicontazione di sostenibilità
6.3.5.2 L’utilizzo improprio degli SDGs all’interno del report integrato di sostenibilità
6.4 Essere o apparire: il greenwashing
6.4.1 Nascita e progressiva intensificazione della strategia di comunicazione
6.4.2 Linee guida e regole degli Organismi di controllo in Italia
6.4.3 Esperienze di legislazione sul fenomeno del greenwashing
6.4.4 La pronuncia giudiziale sul greenwashing di un Tribunale italiano: la sentenza Miko
6.4.5 Diffusione di nuovi fenomeni
Parte V
AZIONI PRATICHE PER UN’AZIENDA ECOSOSTENIBILE (di Fabrizio Santori)
7 Proposte di strumenti operativi per le aziende
Introduzione
7.1 Fattori della sostenibilità e come si misurano
7.2 La sostenibilità come tema strategico per le imprese
7.3 Quali vantaggi nell’investire in sostenibilità?
7.4 Quali minacce si possono evitare nell’investire in sostenibilità?
7.4.1 Metodi utili per valutare sistematicamente le minacce e le opportunità
7.5 Quali rischi nel perseguire la sostenibilità?
7.6 La tua azienda è sostenibile?
7.7 Il report o bilancio di sostenibilità
7.8 Azioni pratiche per la sostenibilità della catena di fornitura
7.9 Sette passi concreti per diventare un’azienda green
8 Il modello formativo Green Management Game
8.1 La formazione come primo passo per una cultura aziendale sostenibile
8.2 Perché questo modello: il caso “Pensione Italia”
8.3 Obiettivi del modello
8.4 Che cosa simula il modello?
8.5 Come si sviluppa la simulazione
8.6 Cosa si vince nella simulazione?
8.7 Il Foglio di Decisione
8.8 Come l’imprenditore ecosostenibile gestisce la produzione, i fornitori, le risorse umane e il marketing
8.9 Il Rapporto di Gestione
9 Fattori critici del modello di sostenibilità
Conclusioni – Illuminare la via delle imprese verso la sostenibilità
La cessione del credito d'appalto secondo il nuovo Codice dei contratti: la modulistica per attuare la disciplina.
A cura di Salvio Biancardi
Fac-simili in formato word personalizzabili:
La gestione efficace delle PMI attraverso i dati: trasformare i dati in informazioni essenziali per il successo dell’azienda.
eBook in pdf di 117 pagine.
Questo eBook vuole essere di aiuto sia agli imprenditori sia ai professionisti al fine di acquisire le competenze e gli strumenti utili per il miglioramento della gestione e della consulenza aziendale.
Si individuano e si trattano quei Dati che sono pragmaticamente indispensabili alla performance aziendale, andando oltre i canonici dati di Bilancio e i dati rilevabili dai gestionali più diffusi.
L'obiettivo è cercare di individuare e analizzare quanto necessario per una visione olistica dell’azienda, osando nuove frontiere.
Si forniscono pure dei modelli di strumenti che tengono conto di tutti gli elementi che influenzano l’attività economica, per tracciare la base di un vero e proprio Tutor Aziendale Olistico, che possa sostenere il piccolo Imprenditore nella propria gestione quotidiana, oramai pesantemente competitiva.
Introduzione
1. Gestione aziendale olistica
1.1 Gestione aziendale evoluta
1.2 Un modello di analisi evoluto
2. I dati e le loro fonti
2.1 La tipologia di DATI
2.2 La raccolta dei dati
2.3 Le fonti dei dati
3. L’analisi “che conta” (analisi formule)
3.1 Analisi della gestione attraverso il bilancio
3.1.1 Indici di redditività
3.1.2 Indici patrimoniali e di liquidità
3.1.3 Indici finanziari di rotazione
3.1.4 Indici Finanziari di dilazione
3.1.5 Indici di correlazione sui flussi finanziari
3.1.6 Kpi per il bilancio di sostenibilità
3.2 Analisi dello stato di salute aziendale
3.2.1 I principali indicatori
3.3 Analisi della gestione attraverso gli occhi dei finanziatori
3.3.1 Gli indicatori maggiormente valutati dalle banche
3.3.2 Elementi qualitativi
3.3.3 Migliorare il rating bancario: punti di forza e punti di debolezza
3.4 Analisi della gestione per la direzione e per la consulenza aziendale
3.4.1 Modelli utili all’analisi e alla consulenza direzionale
3.4.2 La contabilità direzionale utile per le disposizioni del nuovo art. 2086 c.c.
3.5 Analisi della concorrenza: elaborati per un’analisi di benchmarking
3.6 L’analisi del valore aziendale
3.6.1 Teoria quantistica (valore esclusivo editoriale)
3.6.2 Relatività aziendale (valore esclusivo editoriale)
3.6.3 Fiducia
3.6.4 Metodi più tradizionali
3.7 Analisi per la tutela aziendale
3.8 L’analisi evolutiva (valore esclusivo editoriale)
3.9 Indici di mercato e della clientela (guarda la tua azienda con gli occhi della clientela)
4. Strumenti di analisi
4.1 Strumenti presenti sul mercato
4.1.1 Strumenti per trovare i dati sui tuoi competitor
4.1.2 Strumenti per analizzare il comportamento digitale dei consumatori
4.2 Come fare l’analisi di Facebook
4.2.1 Definire le metriche di Facebook (KPI)
4.2.2 Analisi base di Facebook
4.3 Strumenti social per le attività di Social Media Marketing
4.4 Altri esempi di strumenti
4.4.1 Metriche
4.4.2 Google Webmaster
4.4.3 Strumenti Seo
4.4.4 Strumenti per le ricerche di mercato
4.4.5 Strumenti per l’email marketing
4.4.6 Strumento di pianificazione della parola chiave
5. I tutor direzionali olistici interattivi (coi Dati “che contano”)
Conclusioni
Un ricco approfondimento sulla responsabilità sociale di impresa e le società benefit in un pratico eBook formato PDF di 149 pagine.
Introduzione
1. La teoria economica tradizionale: la shareholder theory
2. La stakeholder theory
3. Le criticità del modello dell’agenzia
4. Il governo societario e la performance economica
5. La redditività delle società che dichiarano di essere socialmente responsabili
6. La letteratura empirica sulla relazione tra responsabilità sociale e performance
7. Il capitale sociale: definizione e ruolo nella crescita economica
8. Metodi di misurazione del capitale sociale
9. Il capitale sociale come facilitatore delle relazioni
10. Prove empiriche di impatto del capitale sociale sull’economia
11. La reputazione attenua il rischio di impresa
12. Le decisioni in tema di investimenti e la svolta green
13. Il rischio del greenwashing
14. CSR e organizzazione aziendale: il miglioramento delle relazioni
15. La direttiva UE – CSRD e il bilancio di sostenibilità
16. Alcuni spunti sugli indicatori da inserire nel bilancio di sostenibilità
17. Conclusioni
18. Il quarto settore
19. Responsabilità sociale di impresa e nascita delle benefit corporation
20. Le origini del modello Benefit Corporation
21. B-Corp e società benefit
22. Le società benefit
22.1 Introduzione
22.2 Corporate purpose
22.3 Disciplina
22.4 Il beneficio comune
22.5 Ancora sul beneficio comune
22.6 L’oggetto sociale
22.7 La strategia Europea
2.8 Il diritto di recesso
23. La gestione della società benefit
24. Responsabilità in capo agli amministratori
25. Il responsabile della funzione di perseguimento del beneficio comune
26. La relazione annuale
26.1 Proposta di direttiva Commissione UE sulla “Informativa di sostenibilità”
26.2 Le società benefit e l’informativa non patrimoniale
26.3 La pubblicazione della relazione
26.4 Società benefit in Europa
27. I compiti di controllo della AGCM
28. Beneficio comune e risorse umane
29. Start up innovative, anche a vocazione sociale, e società benefit
30. Le società benefit: agevolazioni e vantaggi
31. Professionisti e società benefit
Temporary shop e pop-up store: comprendere e applicare le strategie di una nuova visione di business
eBook in pdf di 97 pagine.
In questi anni, grazie alla trasformazione dei canali distributivi e all’avvento delle nuove tecnologie, le formule imprenditoriali si sono evolute. L’esercizio commerciale si è trasformato da semplice luogo in cui distribuire i beni al consumatore in locale specializzato dove assistere la clientela, individuare i desideri dei consumatori e mettere in campo ogni sforzo per soddisfare le loro esigenze.
Le molteplici richieste dei consumatori hanno favorito la nascita e la diffusione di nuovi format imprenditoriali e l’affermarsi di un nuovo concetto di business che prende il nome di experential shopping.
Fra questi format, grande importanza hanno avuto i temporary shop ossia esercizi commerciali, con specifiche finalità di marketing, che sfruttano l’impatto della breve durata.
Il testo rivolto all’imprenditore che vuole comprendere e applicare le strategie di una nuova visione di business.
Affinché il temporary shop dia il massimo delle potenzialità è necessario che l’imprenditore acquisisca la professionalità necessaria e applichi le regole che, nel corso degli anni, si sono consolidate. Per la verità, non si tratta di regole scritte poiché, come già asserito, non esistono normative a supporto. Si potrebbe parlare, quindi, di linee di condotta, prescrizioni derivate dall’osservazione del fenomeno, consuetudini applicate allo svolgimento dell’attività.
Osservare il fenomeno, quindi, ha permesso di comprendere meglio la formula del successo e le azioni che l’imprenditore deve porre in essere per raggiungere i propri obiettivi. Ed è proprio sull’individuazione delle scelte strategiche che questo testo vuole concentrare la propria analisi.
I temporary shop sono sicuramente luoghi in cui avviene la vendita al dettaglio di beni o servizi ma sono anche spazi di intrattenimento e di comunicazione, che consentono alle imprese di relazionarsi con i propri clienti e conoscere i gusti e i bisogni dei consumatori. Luoghi che siano in grado di offrire una shopping experience memorabile. L’imprenditore, quindi, non vende solo beni o servizi. Ma garantisce al proprio cliente un’esperienza straordinaria.
L’obiettivo dell’imprenditore che avvia un temporary shop, pertanto, non sempre è orientato verso il conseguimento di un utile. Non è improbabile che il traguardo economico dell’imprenditore sia posizionato al limite del break-event. In realtà ciò che ne ricaverà dall’intero processo (conoscenza del mercato, fidelizzazione della clientela, acquisizione di dati per sviluppare e commercializzare nuovi prodotti) rappresenta un prezioso patrimonio di informazioni.
I temporary shop, in definitiva, offrono numerose opportunità agli imprenditori che vogliono investire in questo settore. Ma il vantaggio dell’iniziativa economica, come il lettore avrà modo di scoprire in questo testo, ricade anche sui consumatori, che potranno beneficiare di nuovi prodotti ad un prezzo vantaggioso, sui proprietari di immobili, che potranno locare i propri immobili senza doversene privare per lunghi periodi, e sulle amministrazioni locali, in quanto l’interesse scatenato dai temporary shop nei centri storici è un richiamo per consumatori e turisti.
Al pari di qualsiasi altra iniziativa commerciale, il temporary shop va programmato fin nei minimi dettagli: dalla definizione dei risultati attesi, alle scelte di business di rilevanza strategica; dalle azioni che definiscano in modo durevole il profilo dell’azienda, all’individuazione di una precisa collocazione nel mercato.
L’imprenditore, pertanto, adotta tutti gli strumenti di management system per portare a compimento la propria iniziativa commerciale. A cominciare dal business plan, il documento che descrive la strategia dell’impresa e dimostra la fattibilità dell’idea imprenditoriale.
Questo testo vuole offrire al lettore l’opportunità di comprendere a fondo il business dei temporary shop e delle strategie che occorre attuare per dare vita ad un’attività profittevole e duratura.
Dopo avere rappresentato le nuove opportunità di business nel mercato retail, il testo prosegue con l’esposizione del fenomeno dei temporary shop, con particolare riferimento all’aspetto temporale sul quale questa tipologia commerciale ha concentrato tutte le proprie potenzialità.
Le motivazioni che spingono un imprenditore ad aprire un temporary shop possono essere molteplici. Come diverse sono le opportunità cui andrà incontro. Questo testo tenterà di esaminare le più significative.
Spazio anche alle regole che occorre rispettare per l’avvio dell’attività, con la segnalazione certificata di inizio attività da presentare al Comune territorialmente competente, ai requisiti soggettivi e strutturali e agli adempimenti fiscali.
Di grande utilità anche i suggerimenti sul marketing dei temporary shop. Il lettore avrà modo di comprendere concetti di fondamentale importanza quali la customer experience, il marketing esperienziale e le strategie single-channel, multi-channel e omni-channel.
E come ogni impresa, anche il temporary shop per nascere e crescere ha bisogno di un business plan. A questo argomento è stato dedicato un intero capitolo affinché l’imprenditore possa comprenderne le finalità e le caratteristiche. Con i suggerimenti forniti sarà possibile realizzare un efficace business plan con tutte le sezioni necessarie a presentare il progetto d’impresa, l’analisi SWOT e il break-even.
In conclusione, alcuni strumenti di utilità quali la checklist degli adempimenti da assolvere per l’avvio di un temporary shop di prodotti alimenti e di prodotti non alimentari e i formulari, con prospetti e modelli da utilizzare nell’esercizio dell’attività.
Prefazione
Introduzione
1. La fattispecie dei temporary shop e dei pop-up store
1.1 Le nuove opportunità di business nel mercato retail
1.2 I canali di distribuzione
1.3 L’aspetto temporale nei temporary shop
1.3.1 Processo di acquisto razionale
1.3.2 Processo di acquisto impulsivo
1.4 Il senso di urgenza dei temporary shop
2. La locazione degli immobili adibiti a temporary shop
2.1 Valutare la location ideale
2.2 Esigenze locative dei shop
2.3 Locazioni a carattere transitorio
2.4 Registrazione dei contratti di locazione
3. Aprire un shop
3.1 Perché aprire un temporary shop
3.2 Avvio dell’attività di temporary shop
3.3 Requisiti soggettivi
3.4 Requisiti strutturali
3.5 Adempimenti fiscali
4. Il marketing dei temporary shop
4.1 Le potenzialità del settore
4.2 La customer experience
4.3 La gestione degli eventi
4.4 Il marketing esperienziale
4.5 Strategie di distribuzione
4.5.1 Strategia single-channel
4.5.2 Strategia multi-channel
4.5.3 Strategia omni-channel
5. Business plan
5.1 Introduzione
5.2 A cosa serve il business plan
5.3 Caratteristiche di un business plan efficace
5.4 Sezioni del business plan
5.5 Azienda, idea imprenditoriale, vision e mission
5.6 Piano marketing
5.7 Analisi SWOT
5.8 Piano degli investimenti
5.9 Piano economico e finanziario
5.10 Break-even point
5.11 Analisi della fattibilità economica
6. Checklist
7. Formulari
7.1 Schema di conto economico previsionale
7.2 Schema di stato patrimoniale previsionale
7.3 Schema di cash flow
7.4 Segnalazione certificata di inizio attività - Temporary shop
7.5 Contratto di locazione ad uso non abitativo di natura transitoria
7.6 Verbale di consegna dell’immobile locato
8. Business plan per temporary shop
8.1 EXECUTIVE SUMMARY
8.1.1 Introduzione
8.1.2 Dati strategici
8.1.3 Descrizione dei prodotti/servizi
8.1.4 Analisi di mercato
8.1.5 Imprenditore/soci e team
8.1.6 Piano marketing
8.1.7 Piano operativo
8.1.8 Piano economico-finanziario
8.2 Azienda e strategia
8.2.1 Storia dell’azienda
8.2.2 Sede e amministrazione
8.2.3 Mission e vision
8.2.4 Obietti strategici
8.2.5 Punti di forza e di debolezza
8.2.6 Opportunità e minacce
8.3 Prodotti e servizi
8.3.1 Caratteristiche tecniche
8.3.2 Stato di sviluppo
8.3.3 Diritti e brevetti
8.3.4 Costi di produzione
8.3.5 Fornitori
8.3.6 Pricing
8.3.6.1 Confronto del prezzo di vendita per prodotto/servizio
8.3.7 Vantaggi competitivi e difendibilità
8.4 Analisi del mercato
8.4.1 Dimensioni e tendenze del mercato
8.4.2 Segmentazione del mercato
8.4.3 Concorrenza
8.4.4 Analisi SWOT
8.5 Imprenditore/soci e Team
8.5.1 Struttura organizzativa
8.6 Piano marketing
8.6.1 Canali di distribuzione
8.6.2 Obiettivo di fatturato
8.6.2.1 Obiettivi di vendita
8.7 Piano operativo
8.7.1 Pianificazione delle attività
8.7.2 Programma degli investimenti
8.7.3 Formazione
8.7.4 Consulenze
8.7.5 Capacità produttiva
8.7.6 Risorse umane
8.8 Piano economico-finanziario
8.8.1 Fabbisogno finanziario
8.8.1.1 Impieghi
8.8.1.2 Fonti
8.8.1.2.1 Caratteristiche dei finanziamenti esterni
8.8.2 Garanzie
8.8.3 Cash flow
8.8.4 Conto economico di previsione
8.8.5 Stato patrimoniale di previsione
8.8.6 Analisi del break-even
Bibliografia
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Note:
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Responsabilità amministrativa enti e whistleblowing
Reati tributari: dalle origini del sistema punitivo tributario fino alle novità del whistleblowing; ebook in pdf di 250 pagine
Il presente lavoro intende esaminare il percorso normativo e giurisprudenziale che è approdato all’introduzione dell’art. 25-quinquiesdecies, D. Lgs. n. 231/2001, nonché le prime applicazioni operative, evidenziandone i principali profili problematici.
L’introduzione della responsabilità amministrativa degli enti al principio del terzo millennio, con il superamento del principio tralatizio secondo cui “societas delinquere et puniri non potest”, ha rappresentato un salto evolutivo del nostro ordinamento, che invero, a distanza di oltre un ventennio, non risulta ancora del tutto metabolizzato e pone questioni lontane dall’essere risolte.
A ben vedere, infatti, l’operatività del D. Lgs. n. 231/2001 risulta caratterizzata da una applicazione non omogenea a livello territoriale, che sconta il diffuso pregiudizio tra le imprese, soprattutto quelle di piccole dimensioni, secondo cui si tratterebbe di uno strumento tutto sommato ammennicolare, e che, in realtà, tradisce una cultura d’impresa arretrata, non più al passo con i tempi.
Ciò detto, l’inserimento dei reati tributari tra i reati-presupposto viene a collocarsi in tale contesto, trattandosi di un passaggio oramai ineludibile per una serie di ragioni quali, in primis, la natura stessa del reato tributario, ontologicamente connessa ad un interesse d’impresa, e quindi l’ampliamento sempre più vasto delle condotte presupposto, con cui mal si conciliava la perdurante estraneità della materia fiscale.
Non ultimo, hanno contribuito ragioni di sistema riconducibili alla sentita necessità di imprimere ulteriore impulso al contrasto all’evasione (come attestato dalla Relazione illustrativa della L. n. 157/2019), nonché l’urgenza di recepire puntuali obblighi internazionali, a partire da quelli elaborati in sede europea.
La trattazione iniziale ripercorre l’evoluzione del sistema penal-tributario, a partire dalla Legge n. 4 del 1929, salutata da molti come la Magna charta nella materia che ne occupa, per soffermarsi sulle riforme succedutesi nel tempo, non sempre di indirizzo omogeneo, fino al D.L. 124 del 2019. Sarà così chiaro che, non diversamente da quanto riscontrabile nel diritto penale in generale, le modifiche all’apparato repressivo tributario non rispondono ad un disegno razionale e coerente, bensì piuttosto a pulsioni contingenti, talvolta populiste.
La trattazione prosegue con una panoramica generale sulla disciplina della responsabilità amministrativa degli enti di cui al D. Lgs. n. 231/2001, soffermandosi, in particolare, sui soggetti destinatari della normativa e sui presupposti richiesti ai fini della sua operatività, avuto particolare riguardo alle nozioni di interesse e vantaggio e al ruolo chiave del modello organizzativo quale elemento rilevante ai fini della stessa responsabilità dell’ente o dell’accesso agli istituti premiali.
Successivamente, vengono approfondite le soluzioni esegetiche con le quali la giurisprudenza, prima del D.L. n. 157/2019, ha tentato di attrarre i reati tributari, allora ancora “grandi assenti” del D. Lgs. n. 231/2001, nell’orbita della responsabilità degli enti, ad esempio valorizzandone la natura di reati-fine o di reati-presupposto di fattispecie già ricomprese nell’elenco delle fattispecie di cui al D. Lgs. n. 231/2001.
Speciale attenzione viene dedicata, quindi, ai reati presupposto previsti dall’art. 25-quinquiesdecies, D. Lgs. n. 231/2001, e ai più rilevanti punti di intersezione tra le relative norme incriminatrici e la disciplina di cui al D.Lgs. n. 231/2001.
Segue la trattazione dei più rilevanti profili problematici legati all’introduzione dei reati tributari nel novero dei reati presupposto della responsabilità degli enti. In particolare, ci si sofferma sugli indesiderata dovuti alla (permanente) vigenza del principio di autonomia della responsabilità degli enti di cui all’art. 8, D. Lgs. n. 231/2001 (rectius: alla perdurante interpretazione giurisprudenziale dello stesso come applicabile anche alle mere cause di non punibilità) e, in particolare, all’irrilevanza, sul piano della responsabilità degli enti ex art. 25-quinquiesdecies, D. Lgs. n. 231/2001, del pagamento del debito tributario di cui alla causa di non punibilità prevista dall’art. 13, D. Lgs. n. 74/2000.
Infine, specifica attenzione è dedicata alla questione della compatibilità tra il principio del ne bis in idem e il nuovo regime di responsabilità degli enti (al contempo) per illeciti amministrativi tributari e per illeciti amministrativi dipendenti da reati tributari.
È poi oggetto di trattazione il tema dei modelli organizzativi e della necessità di un loro aggiornamento al fine di tener conto del rischio fiscale. Al riguardo, è dato ampio risalto all’istituto dell’adempimento collaborativo e al tax control framework, già in uso in materia tributaria da almeno un decennio per i grandi contribuenti che, pur con le sue peculiarità, può rappresentare un valido riferimento per le imprese chiamate a costruire presidi preventivi che possano avere efficacia esimente della responsabilità ai sensi del D. Lgs. n. 231/2001.
Sarà opportunamente approfondito il tema della valutazione della idoneità del Modello, che ha evidenziato non pochi nodi interpretativi e applicativi, con la conseguenza di aver ingenerato sovente negli enti una comprensibile sensazione di “insicurezza” e saranno proposti esempi pratici, calibrati sul rischio fiscale.
Saranno poi descritte, seppur in rapidi cenni, le attività della polizia giudiziaria ai fini dell’accertamento della responsabilità amministrativa dell’ente e descritte le conseguenze, nei confronti di quest’ultimo, sul piano sanzionatorio. In particolare, sarà dato conto della complessità del sistema punitivo, che si struttura in sanzioni pecuniarie cui si aggiungono le misure interdittive e le misure ablatorie. Con riferimento a tale profilo, sarà evidenziato il rischio di una sovrapposizione delle misure di confisca, derivante dalla possibile, contestuale applicazione di più istituti, il cui novero è stato da ultimo ampliato a seguito dell’introduzione della cd. “confisca allargata”.
Infine, sarà illustrata una novità particolarmente rilevante in tema di whistleblowing: verranno, in particolare, affrontati i principali aspetti della normativa di cui al D. Lgs. n. 24/2023, che estende l’ambito di operatività di tale istituto a tutti i soggetti privati, caratterizzati da determinati requisiti dimensionali, a prescindere dall’avvenuta, preventiva adozione di modelli organizzativi. Ci si soffermerà, quindi, sulle potenzialità di un tale strumento nel contrasto (anche) agli illeciti tributari, a superamento di un approccio, anche culturale, che è stato caratterizzato da un “equilibrio precario di sentimenti”, oscillante tra spirito di ammirazione e biasimo.
Prefazione
1. La lunga marcia dell’evoluzione del sistema sanzionatorio penal-tributario
1.1 Introduzione
1.2 Le origini del sistema punitivo tributario: la L. n. 4/1929
1.3 Il c.d. panpenalismo tributario: la L. n. 516 del 1982
1.4 Il modello di tutela penale incentrato sulla “dichiarazione”: il D. Lgs. n. 74/2000
1.5 L’inasprimento della risposta sanzionatoria: il D.L. n. 124 del 2019 e il D. Lgs. n. 75/2020
2. La disciplina della responsabilità amministrativa degli enti
2.1 Perché riconoscere una responsabilità agli enti? L’urgenza di intervenire tra impulsi esterni ed evidenze empiriche
2.2 La vexata quaestio della natura della responsabilità degli enti da reato
2.3 I destinatari della disciplina
2.3.1 Enti e società di diritto straniero
2.3.2 Società unipersonali e ditte individuali
2.3.3 Esclusioni
2.4 Criteri di imputazione della responsabilità dell’ente
2.4.1 Criteri di imputazione oggettiva
2.4.1.1 Interesse e vantaggio
2.4.1.2 I soggetti apicali e sottoposti
2.4.2 Il criterio d’imputazione del reato all’ente sul piano soggettivo: profili sostanziali
2.4.3 Modelli organizzativi
2.4.4 Il criterio di imputazione dei sottoposti
2.4.5 Il Sistema sanzionatorio
3. La responsabilità amministrativa degli enti per i reati tributari
3.1 La rilevanza della materia tributaria ai fini della responsabilità dell’ente: cenni introduttivi
3.2 L’art. 25-quinquiesdecies
3.3 Prima del novum normativo
3.3.1 I reati tributari quali reati–fine del delitto di associazione per delinquere
3.3.2 I reati tributari quali reati-presupposto del delitto di autoriciclaggio
3.3.3 Il caso “Gubert” e l’ammissibilità della confisca diretta nei confronti dell’ente, affermata dalle SS.UU. Penali della Corte Suprema di Cassazione
4. I reati di riferimento
4.1 Il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2, D. Lgs. n. 74/2000)
4.2 La dichiarazione mediante altri artifici (art. 3, D. Lgs. n. 74/2000)
4.3 La dichiarazione infedele (art. 4, D. Lgs. n. 74/2000)
4.4 Il delitto di omessa dichiarazione (art. 5, D. Lgs. n. 74/2000)
4.5 Il delitto di emissione di fatture per operazioni inesistenti (art. 8, D. Lgs. n. 74/2000)
4.6 Il delitto di occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10 D. Lgs. n. 74/2000)
4.7 Il delitto di indebita compensazione (art. 10-quater, D. Lgs. n. 74/2000)
4.8 La sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte (art. 11, D. Lgs. n. 74/2000)
5. Prime applicazioni pratiche e problematiche operative
5.1 Le asimmetrie tra responsabilità della persona fisica e la responsabilità dell’ente
5.2 La tenuta del principio del ne bis in idem tra disciplina penal-tributaria e sanzioni amministrative di matrice tributaria
5.3 La responsabilità amministrative nei gruppi d’impresa
5.4 Arriva la prima condanna per illeciti fiscali ai sensi del D. Lgs. 231
5.5 Considerazioni conclusive
6. La costruzione dei modelli organizzativi
6.1 L’importanza dei modelli organizzativi. Le implicazioni derivanti dall’ingresso dei reati tributari tra i reati-presupposto
6.2 La cooperative compliance
6.2.1 Brevi cenni storici
6.2.2 Tratti salienti della disciplina
6.2.3 Il tax control framework
6.3 “Modello 231” e TCF: un raffronto
6.4 Adeguamento dei modelli organizzativi al rischio fiscale
6.5 Limiti dei modelli organizzativi e possibili ipotesi di lavoro
6.6 L’Organismo di vigilanza.
6.6.1 Le funzioni dell’Organismo di vigilanza: dal riconoscimento della sua importanza alla ipertrofizzazione dei suoi compiti
6.7 La costruzione di modelli di organizzazione, gestione e controllo, con efficacia esimente ex D. Lgs. 231/2001
6.7.1 Pianificazione
6.7.2 Risk assessment
6.7.3 Gap analysis e definizione dei protocolli
6.7.4 Sistema disciplinare
6.7.5 Definizione del piano di formazione
6.7.6 La struttura del modello organizzativo
7. Il sistema sanzionatorio della responsabilità degli enti
7.1 L’accertamento della responsabilità dell’ente ex D. Lgs. n. 231/2001
7.2 Il sistema sanzionatorio
7.3 Le sanzioni pecuniarie
7.4 Le sanzioni interdittive
7.5 Le misure di sicurezza (ablatorie) nei confronti dell’ente
7.6 Le misure di sicurezza (ablatorie) nei confronti della persona fisica
7.6.1 La confisca diretta
7.6.2 Confisca per equivalente
7.6.3 La c.d. confisca allargata
7.7 Conclusioni
8. La disciplina del whistleblowing
8.1 Premessa
8.2 Il whistleblowing nel contesto internazionale
8.3 (segue) nel quadro euro-unitario
8.4 Gli ultimi approdi in ambito unionale: la Direttiva 2019/1937
8.5 Il tax whistleblower
8.6 (segue) il tax whistleblower in Italia
8.7 Analisi della normativa italiana di riferimento
8.7.1 La disciplina prevista dalla L. 179/2017
8.7.2 Il destinatario delle segnalazioni
8.7.3 La disciplina introdotta dal decreto legislativo n. 24/2023
8.7.3.1 Ambito soggettivo
8.7.3.2 Oggetto di segnalazione
8.7.3.3 I canali di presentazione delle segnalazioni e le modalità di presentazione
8.7.3.3.1 I canali interni
8.7.3.3.2 Il canale esterno presso ANAC
8.7.3.3.3 Divulgazione pubblica
8.7.4 Le Misure di Protezione
8.7.4.1 La tutela della riservatezza del segnalante
8.7.4.2 Il trattamento dei dati personali
8.7.5 Il divieto di ritorsione ai danni del segnalante
8.7.6 Protezione dalle ritorsioni
8.7.7 Limitazioni di responsabilità per chi segnala, denuncia o effettua divulgazioni pubbliche
8.7.8 Le misure di sostegno
8.8. Le possibili criticità sul piano interpretativo e applicativo della nuova disciplina in tema di whistleblowing
8.9 Considerazioni finali
Conclusioni
Bibliografia