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tassabilità della plusvalenza da vendita di immobile ricevuto in donazione

Buona sera a tutto il forum.

Nel 2003 mia moglie e io ricevemmo formalmente con un atto di acquisto un deposito di tipo C2 da mio suocero. Egli intendeva così sistemare le sue proprietà tra le figlie. In cambio infatti cedemmo, per gli stessi motivi, un garage di tipo C6 a noi intestato alla sorella di mia moglie con una vendita altrettanto formale. Ambedue gli atti avvennero senza alcun trasferimento di denaro. Il deposito era stato acquisito da mio suocero nel 1981.
Nel 2007, dopo averne cambiato su richiesta degli acquirenti la destinazione d'uso in garage tipo C6, vendemmo il deposito/garage a quattro acquirenti.
Nel 2013 l'Agenzia delle Entrate contestò a mia moglie la mancata dichiarazione della plusvalenza imponendole un pagamento di notevolissimo importo.
A nulla è valso dichiarare che il deposito era una pertinenza della nostra prima casa, purtroppo mai solennemente dichiarata. I giudici di primo grado e di appello hanno ritenuto che non avessimo provato a sufficienza la pertinenzialità del deposito, con riferimento alla distanza (700 metri), ampiezza (80 mq) e alla natura di "garage" con particolare riferimento al cambio di destinazione d'uso che avevamo effettuato una settimana prima della vendita.
Considerato che il deposito ci venne, naturalmente, senza alcun corrispettivo, potremmo annullare l'acquisto dichiarandone l'autentica natura di donazione da padre a figlia (e a genero, eravamo in comunione dei beni)?
Tale eventualmente riconosciuta, diversa natura eliminirebbe la fattispecie della compravendita speculativa con relativa plusvalenza, considerato che il deposito era in proprietà del donante da ventidue anni?
E' possibile inoltre richiedere il riconoscimento di tale circostanza all'AdE, eliminandone l'onerosissima richiesta nei confronti di mia moglie, casalinga non produttrice di reddito?
 
La discussione della sentenza è stata celebrata il 9 gennaio 2017. Nella stessa data è stata registrata la sentenza, un tempo più che breve. Salvo errori avremmo sei mesi per ricorrere in Cassazione (secondo le statistiche ufficiali "leggermente" favorevoli all'AdE le relative sentenze: 92 ogni 100...).
 
Sì la sentenza non è passata in giudicato.
Non so se può essere praticabile quanto da te indicato, dovresti chiedere ad un notaio.
Inoltre, ammesso che si possa fare, non credo che l'ufficio possa rivedere la propria posizione, soprattutto alla luce del fatto che risulta vittorioso in entrambi i gradi del giudizio.
Al limite tale argomentazione poteva tutt'al più essere spendibile nel giudizio tributario attraverso apposito motivo di ricorso (introduttivo) provando ovviamente la reale natura dell'atto, perché non è stato fatto?
Saluti.
 
In prima istanza l'avvocato ha puntato sulla pertinenzialitá del deposito. In appello ha citato anche la circostanza che l'atto di acquisto manifestava una liberalità tra padre e figlia. I giudici hanno creduto alle motivazioni speciose dell'AdE e non hanno considerato la nostra versione. Inutile che dica che questa esperienza non mi fa affatto dire, come sento in TV, "ho fiducia nella magistratura". Come da un'altra vicenda personale riguardante il mio licenziamento da una grandissima azienda di credito per asseriti loro problemi economici, ho ricavato l'esatta sensazione che i giudici seguano " mode giuridiche". Ieri un lavoratore licenziato senza giusta causa veniva immediatamente reintegrato, oggi è meglio che accetti quanto gli viene offerto e se ne vada senza disturbare. Quanto all'AdE, guai a chi ci capita! La stupefacente statistica delle cause vinte o perse in Cassazione la dice lunghissima sull'umore filo statale dei giudici tributari. Fattispecie che dovrebbero essere "palmari" dal punto di vista del diritto diventano oggetto di bizantinismi, incertezza e in una parola arbitrio malevolo nei confronti del cittadino. Le stesse sanzioni sono ineffabili. Una presunta plusvalenza (chissà perché poi entro i cinque anni) di 66.000 euro (con un evidente differenza tra importo di acquisto dichiarato come valore catastale e vendita dichiarata in atto fino all'ultimo centesimo) genera una "punizione" di più di 80.000 euro, di cui 24.000 come imposta "evasa". Il notaio che vergò l'atto di vendita sostenne e sostiene che bastasse dichiarare in maniera informale, senza necessità di alcuna solennità, che l'immobile di tipo C2/C6 unico era una pertinenza dell'abitazione principale per giustificare all'AdE la mancata auto tassazione della plusvalenza. Una vicenda diabolica per molti versi.
Come cittadino sono tentato di rigettare la mia cittadinanza e dichiararmi apolide.
Mi scuso per lo sfogo, ma sono amareggiato per quella che considero un'ingiustizia, una vessazione con aspetti persecutori.
 
Ultima modifica:
Al di là delle considerazioni sul "sistema giustizia", ritengo che l'Agenzia abbia legittimamente proceduto all'accertamento della plusvalenza in quanto il garage è stato venduto come unità immobiliare a sè stante, e questo non depone a favore del vincolo di pertinenzialità. Inoltre è distante 700 mt dall'immobile principale, e neanche questo deporrebbe a favore del vincolo pertinenziale. Insomma i fatti deponevano a tuo sfavore, ed evidentemente non siete riusciti a convincere il giudice circa l'esistenza del presunto nesso di pertinenzialità. Non conosco le sentenze, ma ritengo che molto probabilmente sia andata così, non siete riusciti a fornire la prova contraria che in questo caso era a vostro carico. A mio avviso sin dal primo grado di giudizio bisognava incentrare la difesa (tra l'altro) sulla reale natura dell'atto posto in essere dalle parti perché proporre in appello una domanda ed eccezione nuova incontra i limiti di cui all'art. 57 DPR 546/92 così come produrre nuove prove in appello incontra i limiti di cui all'art. 58 stesso DPR. E' chiaro che non conoscendo come si è svolto il processo, né le sentenze relative, più di questo non riesco ad osservare.
Saluti.
 
Presunto nesso di pertinenzialitá.
Bella definizione. Basterebbe dire esattamente quali sono le prove di pertinenzialitá che è necessario fornire, toh un elenco, e un poverocristo saprebbe come regolarsi. Ma no, non l'abbiamo "provato" e manco ci hanno usato la cortesia di dirci come e quali sono le "prove" che dovevamo fornire. Sembrava per l'appunto che un immobile di tipo C2 o C6, unica proprietà oltre la casa nello stesso comune, di una qualsiasi metratura, non potesse essere altro che una "pertinenza". Non è così. Si deve " provare". Potrei postare sia la difesa del mio avvocato in appello che il giudizio (una paginetta liquidatoria) ma sarebbe troppo lungo. Ho capito anche dalla tua risposta di essere finito in un cul-de-sac e di non dovermi agitare, come si dice che dicesse Mao.
Sai, Rocco, forse non pagherò nemmeno un centesimo per questa cosa e loro provvederanno ad accendere ipoteca sulla nostra unica casa con l'obbiettivo di togliercela, a noi o alle nostre figlie, prima o poi. Mia moglie è una casalinga e non produce nessun reddito. Io sono un pensionato con 2.000 euro di pensione che fatica a vivere decentemente aiutando anche le normali figlie adulte bravissime e sottopagate con le loro famiglie abbozzate. Se ho capito bene gli eredi non pagano i balzelli accessori che, in un caso come il nostro, moltiplicano la presunta evasione per due, tre volte. Saranno le nostre figlie, forse, a pagare le imposte per non vedersi sottrarre la casa che vorremmo lasciare loro. Ma magari un terremoto, un'eruzione del Vesuvio (abitiamo a Napoli) ce la distruggerà prima che ce la tolgano. A saperlo, avremmo potuto donare la nostra casa alle nostre figlie ma per carità, almeno cinque anni fa. Già perché come dice il proverbio: tre song 'e putient: 'o rre, 'o papa e chi nun ten' nient'. Peccato non averlo saputo.
I soldi che ricavammo da quella vendita servirono per estinguere due mutui e un prestito personale con cui avevamo acquistato la nostra casa. E ora dovrei ricominciare a pagare un migliaio di euro al mese per dieci anni se li campo? Per rimpinzare questo stato semifallito con tutte le conseguenze che vediamo? Tutta la vita ho cercato di non avere nemmeno una lira di debito con nessuno, così mi è stato insegnato. Si pagano le tasse fino al centesimo, mi hanno sempre detto, subito, è giusto così. Lo dice anche il Padreterno sceso in terra: date a Cesare... Ma questa è una schifezza, una fregatura, una coltellata alle spalle e potrei derogare infine alla mia aurea regola di vita. Mi rifiuto intimamente di obbedire a questa cosa.
E con ciò chiudo il mio mugugno, egregio Rocco. Cordialmente.
 
Se è scontata la pertinenzialità di un box nel seminterrato o nel cortile dell'abitazione, in altri casi la dimostrazione diventa difficile o impossibile da dare. E' quindi comprensibile lo sfogo, ma un po te la sei cercata o meglio sei stato consigliato male. Prima simuli una vendita mentre si trattava di una donazione, poi rivendi il cespite entro cinque anni ma chiedendo la non tassazione in quanto pertinenza dell'abitazione a fronte di una situazione piuttosto complicata (magazzino trasformato in box, comprato e venduto con atto separato dall'abitazione, e situato ad una certa distanza dalla stessa). La magistratura a mio avviso non c'entra in questo caso, è il legislatore che dovrebbe qualificare come pertinenza un box/magazzino per ogni immobile nel centro storico delle città.
 
Ultima modifica:
guido1964
la simulazione di acquisto dovrebbe essere impossibile tra padre e figlio/a ma è notorio che le donazioni sono meno efficaci delle compravendite. La legge, che come dici è quantomeno insufficiente in casi del genere, ha generato una discrezionalità eccessiva da parte dei giudici. Se ti fai un giro su Google è pieno di sentenze di Cassazione sulla distanza "corretta" di una pertinenza dall'abitazione principale (di norma prevista nello stesso comune e io abito a Napoli dove 700 metri nel centro storico a piedi si percorrono in cinque minuti) sulla possibilità che addirittura la pertinenza sia di superficie superiore all'abitazione o della non necessità di dichiarare un immobile pertinenza in maniera "solenne". Si sprecano i riferimenti a un unico C2 o C6.
I richiami a queste sentenze e all'atto di liberalità di mio suocero sono ampiamente citati nel ricorso di otto pagine più tredici allegati presentato contro la sentenza di primo grado ma non sono evidentemente stati minimamente presi in considerazione da una sentenza di una paginetta liquidatoria depositata, ripeto, nella stessa giornata della discussione. Pertanto mi spiace se ritieni corretto il comportamento dell'AdE e della magistratura tributaria ma faccio uso della mia libertà di cittadino per dire che a fronte della mia ignoranza (per carità! dovessimo ignorare qualcuna delle 120.000 leggi in vigore nel nostro paese o le migliaia di criptici giudizi emessi in un linguaggio da iniziati, un gradino inferiore al linguaggio delle leggi!) per dire che ci hanno trattato una schifezza. Il nocciolo della questione è: sei colpevole sino a prova (?) contraria e non: sei innocente fino a prova contraria. L'onere della prova a carico del cittadino mi farebbe ridere se non ci fosse da piangere. E tralascio il fatto che io personalmente non sono stato oggetto di accertamento perché avevo presentato il mio 730 regolarmente e "loro" sono arrivati "dopo" i termini di cinque anni previsti. Mia moglie no, non guadagna un tubo, non ha presentato nulla perciò in termini per lei si sono allungati.
Per pura curiosità, un impiegato di Equitalia dove sono andato a farmi fare un estratto di ruolo mi ha chiesto: ma sua moglie è commerciante? Richiesta un poco ridicola nel nostro caso ma che fa il ipaio con l'affermazione della funzionaria dell'AdE che disse al mio avvocato "avreste potuto affittarlo in nero (il deposito ndr)". Non so se l'avvocato gli ha risposto che se l'avessimo affittato NON l'avremmo venduto. Ma, come sopra, evidentemente se l'AdE ti ha adocchiato, non puoi essere innocente e comunque ti costerà caro.
 
Purtroppo non si può spiegare in un forum come funziona il processo tributario, al di là di tutte le recriminazioni.
Ripeto, l'operato dell'Ade è stato legittimo e la pretesa si fondava su fatti (distanza, vendita, ecc.) e non su semplici indizi o elementi. Non è vero che è sempre il contribuente a dover provare, vi è l'art. 2697 c.c. che regola l'onere della prova. Come giustamente scritto da guido1964, un po' il mea culpa io lo farei, inoltre sarebbe opportuno approfondire la "gestione del processo" perché tutte le doglianze avverso l'atto vanno mosse fin dal primo grado di giudizio nel ricorso introduttivo.
Saluti.
 
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