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lavoro in Inghilterra

franca

Utente
Un soggetto con residenza in Italia e domicilio in Inghilterra dove lavora come dipendente, oltre alle imposte versate in quel Paese deve dichiarare e versare anche in Italia?
 
Riferimento: lavoro in Inghilterra

Si posta una risposta tratta da"L'Esperto Risponde del sole 24 ORE" sulla materia

"Il lavoratore dipendente che presta la propria attività lavorativa continuativamente ed esclusivamente all'estero, sia alle dipendenze di datori di lavoro italiani che di datori di lavoro stranieri, spesso provvede a cancellarsi dall'anagrafe della popolazione residente per iscriversi all'AIRE. Tale iscrizione, come si vedrà, può avere o non avere conseguenze sulla residenza fiscale del dipendente e quindi sul pagamento, o meno, delle imposte sui redditi prodotti all'estero anche nel nostro Paese nella considerazione che, ai sensi dell'articolo 3 del Tuir:
i soggetti residenti in Italia sono assoggettati a imposizione nel nostro Paese per i redditi ovunque prodotti (principio della tassazione sul reddito mondiale);
i soggetti non residenti in Italia sono assoggettati a imposizione nel nostro Paese solo per i redditi ivi prodotti (principio della territorialità o della fonte).
Anagrafe e censimento degli italiani all'estero.
La legge 27 ottobre 1988, n. 470 concernente l'anagrafe e il censimento degli italiani all'estero e il relativo regolamento di attuazione (Dpr 323 del 6 settembre 1989) prevedono che l'iscrizione nelle anagrafi degli italiani residenti all'estero viene, tra l'altro, effettuata per il trasferimento della residenza da un comune italiano all'estero. Non sono iscritti all'AIRE i cittadini che si recano all'estero per cause di durata limitata, ad esempio i lavoratori stagionali e comunque, non superiore a 12 mesi.
I cittadini italiani che trasferiscono la loro residenza da un comune italiano all'estero devono farne dichiarazione all'ufficio consolare della circoscrizione di immigrazione entro 90 giorni dal trasferimento, inteso come fissazione all'estero della dimora abituale.
Le anagrafi dei cittadini residenti all'estero sono tenute sia presso i comuni che presso il ministero dell'Interno e sono costituite le prime, da archivi che raccolgono le schede individuali e di famiglia eliminate dall'anagrafe della popolazione residente (Apr) a seguito del trasferimento all'estero; le seconde, presso il Ministero, contengono i dati desunti dalle anagrafi comunali.
Quindi, ogni comune gestisce la propria AIRE, mentre l'AIRE tenuta dal ministero dell'Interno contiene i medesimi dati su base nazionale. L'archivio del ministero dell'Interno è aggiornato direttamente dai comuni. L'iscrizione all'AIRE è, nella sostanza, un dovere civico in quanto permette, da un lato allo Stato italiano di sapere dove si trovano i soggetti aventi cittadinanza italiana e dall'altro, a tali cittadini, di fruire dei servizi consolari, di ottenere certificati dal comune di iscrizione e dal Consolato nella cui circoscrizione il cittadino è residente e, infine, di esercitare con regolarità il diritto di voto.
Le conseguenze fiscali dell'iscrizione all'AIRE.
In prima approssimazione, la cancellazione dalla anagrafe della popolazione residente da parte di un cittadino italiano sembrerebbe far perdere allo stesso anche la residenza fiscale in Italia.
Se così fosse, come visto, dal coordinato disposto dell'articolo 3 del Tuir in base al quale i non residenti sono soggetti all'Irpef solo per i redditi prodotti in Italia e 23 dello stesso Tuir (che individua i criteri per l'applicazione di tale principio per le varie categorie di reddito) il cittadino italiano iscritto all'AIRE che percepisce redditi di lavoro dipendente per un lavoro svolto all'estero, dovrebbe essere tassato in Italia esclusivamente per gli "altri" redditi, diversi da quelli di lavoro dipendente, eventualmente prodotti in Italia.
Tuttavia, poiché in base all'articolo 2 del Tuir, sono residenti in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d'imposta (183 giorni nell'anno):
1. sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o
2. hanno nel territorio dello Stato il domicilio ai sensi del Codice civile (sede principale dei propri affari o interessi) o
3.hanno nel territorio dello Stato la residenza ai sensi del Codice civile (dimorano abitualmente in Italia)
nella considerazione che i requisiti sopra indicati sono tra loro alternativi e non concorrenti, sarà sufficiente il verificarsi di uno solo di essi affinché un soggetto sia considerato fiscalmente residente in Italia anche se iscritto all'AIRE.
Infatti, in merito alla rilevanza dell'iscrizione all'Aire da parte di cittadini italiani, l'amministrazione finanziaria, con circolare 2 dicembre 1997, numero 304/E ha precisato che la cancellazione dall'anagrafe della popolazione residente e l'iscrizione all'AIRE «non costituisce elemento determinante per escludere il domicilio o la residenza nello Stato, ben potendo questi ultimi essere desunti con ogni mezzo di prova anche in contrasto con le risultanze dei registri anagrafici».
In pratica, per essere considerati residenti in Italia è sufficiente che, per la maggior parte del periodo d'imposta, un cittadino italiano iscritto all'AIRE abbia mantenuto in Italia il "centro" dei propri legami familiari o dei propri interessi patrimoniali e sociali.
Tra gli elementi che devono essere analizzati e valutati dagli uffici al fine di contrastare le "fittizie" risultanze anagrafiche, nella circolare citata vengono richiamati: i legami familiari o comunque affettivi e l'attaccamento all'Italia; gli interessi economici in Italia; l'interesse a tenere o far rientrare in Italia i proventi conseguiti con le prestazioni effettuate all'estero; l'intenzione di abitare in Italia anche in futuro. In pratica, operando una "valutazione d'insieme" dei molteplici rapporti che il soggetto intrattiene nel nostro Paese il soggetto verrà considerato fiscalmente residente in Italia in quanto nel nostro Paese ha mantenuto la sede principale dei propri affari ed interessi ogniqualvolta in esso disponga di una abitazione permanente, mantenga una famiglia, accrediti i propri proventi dovunque conseguiti, possegga beni anche mobiliari, partecipi a riunioni d'affari, rivesta delle cariche sociali, sopporti spese alberghiere o di iscrizione a circoli o club, organizzi la propria attività e i propri impegni anche internazionali, direttamente o attraverso soggetti operanti nel territorio italiano.
Conformemente a tale impostazione l'amministrazione finanziaria, con risoluzione 10 febbraio 1999, numero 17/E ha considerato residente all'estero il lavoratore dipendente iscritto all'AIRE che ha trasferito all'estero la famiglia, ha iscritto il figlio alla scuola estera e ha stipulato un contratto di affitto di durata quadriennale.
Diversamente, in molti casi che si verificano nella realtà, il lavoratore che svolge la propria attività esclusivamente all'estero continua ad essere considerato fiscalmente residente in Italia anche se iscritto all'Aire perché il suo domicilio, cioè il "centro degli affari e interessi", rimane in Italia (in quanto, ad esempio, la sua famiglia, moglie e figli, è rimasta in Italia).
A conferma di tale impostazione è quanto precisato dalla circolare 26 gennaio 2001 numero 9/E, paragrafo 2.2, nella quale, richiamando la circolare 304 del 2 dicembre '97 prima citata viene precisato che «deve considerarsi fiscalmente residente in Italia un soggetto che, pur avendo trasferito la propria residenza all'estero e svolgendo la propria attività fuori dal territorio nazionale, mantenga il "centro" dei propri interessi familiari e sociali in Italia». Tale circostanza si concretizza, ad esempio, nel caso in cui «la famiglia dell'interessato abbia mantenuto la dimora in Italia durante l'attività lavorativa all'estero» o, comunque, nel caso in cui «emergano atti o fatti tali da indurre a ritenere che il soggetto interessato abbia quivi mantenuto il centro dei suoi affari e interessi" (risoluzione 14 ottobre 1988, numero 8/1329)».
Si ricorda infine che, nell'ipotesi in cui il lavoratore dipendente all'estero sia considerato fiscalmente residente in Italia anche se iscritto all'AIRE lo stesso dovrà pagare le imposte nel nostro Paese anche sul reddito prodotto, e già tassato all'estero, potendosi tuttavia scomputare dalle imposte italiane, le imposte definitivamente pagate all'estero su tali redditi ai sensi dell'articolo 165 del Tuir."
 
Riferimento: lavoro in Inghilterra

Salve, io mi trovo in una simile situazione. Ho lavorato in Inghilterra per 14 anni e sto' per trasferirmi permanentemente in Italia. Non mi sono mai iscritto all'AIRE e ho sempre mantenuto la residenza in Italia dai miei genitori. Non posseggo ne' casa ne famiglia in Inghilterra. Ho famiglia in Italia (madre) e sono co-intestatario della sua casa. Una volta rientrato permanentemente in Italia, dovro' pagare le tasse sui redditi maturati durante tutti questi anni in Inghilterra? Se si', potro' dedurre dall'IRPEF le imposte definitivamente pagate in Inghilterra? Grazie mille in anticipo, Massimo.
 
Riferimento: lavoro in Inghilterra

anch'io lavoro in inghilterra da 8 mesi ma come libera professionista. Ho mantenuto la residenza in Italia poichè la mia intenzione è quella di tornare in Italia prima o poi. Devo pagare le tasse anche in Italia o solo nel paese in cui lavoro? Mi conviene iscrivermi all' AIRE?
 
Riferimento: lavoro in Inghilterra

In riguardo al mio ultimo post, ho cercato la convenzione tra Regno Unito e Italia in merito alla doppia imposizione.

Articolo 14 - Professioni indipendenti

1. I redditi che un residente di uno Stato contraente ritrae dall'esercizio di una libera professione o di altre attività di carattere indipendente sono imponibili soltanto in detto Stato a meno che egli non disponga abitualmente nell'altro Stato contraente di una base fissa per l'esercizio della sua attività. Se egli dispone di tale base fissa, i redditi sono imponibili nell'altro Stato ma unicamente nella misura in cui sono attribuibili a detta base fissa.

2. L'espressione "libera professione" comprende in particolare le attività indipendenti di carattere scientifico, letterario, artistico, educativo o pedagogico, nonché le attività indipendenti dei medici, avvocati, ingegneri, architetti, dentisti e contabili.


Se la mia interpretazione non è sbagliata, visto che presto la mia attività di libero professionista esclusivamente in Inghilterra (lavoro come pharmacy technician e sono self-employed) mi sembra di capire che il reddito percepito dovrebbe essere tassato esclusivamente in Inghilterra. Mi sbaglio?

A questo punto mi chiedo se devo comunque dichiarare questo reddito in Italia oppure no.

Heeeelp!!!!!
 
Riferimento: lavoro in Inghilterra

Non so, io ho invece letto l'art. 15 della predetta convenzione, in materia di lavoro subordinato:

Articolo 15 - Lavoro subordinato
1. Salve le disposizioni degli articoli 16, 18, 19, 20 e 21 della presente Convenzione, i salari, gli stipendi e le altre remunerazioni analoghe che un residente di uno Stato contraente riceve in corrispettivo di una attività dipendente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che tale attività non venga svolta nell'altro Stato contraente. Se l'attività è quivi svolta, le remunerazioni percepite a tal titolo sono imponibili in questo altro Stato.


Ora,se la mia intepretazione è corretta, sembra che anche i residenti fiscali italiani siano imponibili, per i redditi prodotti all'estero, solo nello stato estero... il che sembra in contrasto con quanto spiegato su nel primo post di questo thread, sul fatto che potremmo essere tenuti a pagarle in entrambi gli stat!:dead:
 
Riferimento: lavoro in Inghilterra

Articolo 14 - Professioni indipendenti

1. I redditi che un residente di uno Stato contraente ritrae dall'esercizio di una libera professione o di altre attività di carattere indipendente sono imponibili soltanto in detto Stato a meno che egli non disponga abitualmente nell'altro Stato contraente di una base fissa per l'esercizio della sua attività. Se egli dispone di tale base fissa, i redditi sono imponibili nell'altro Stato ma unicamente nella misura in cui sono attribuibili a detta base fissa.

2. L'espressione "libera professione" comprende in particolare le attività indipendenti di carattere scientifico, letterario, artistico, educativo o pedagogico, nonché le attività indipendenti dei medici, avvocati, ingegneri, architetti, dentisti e contabili.


Io non sono un esperto di fisco, ma se l'italiano non è un opinione qui c'è scritto che io, come libero professionista residente in Inghilterra, pagherò le tasse in Inghilterra a meno che io non abbia "base fissa" in Italia.

Questo in teoria dovrebbe valere anche nel caso la totalità delle mie prestazioni (prevalentemente svolte via internet) sia a beneficio di clienti italiani.

Giusto? Oppure sbaglio in qualcosa? :confused:
 
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