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iva auto vendita profess. 2

D

Debora

Ospite
Altro quesito su vendita auto professionista.
Nel 2000 immette nel registro beni ammortizzabili auto acquistata l'anno prima quando non aveva partita iva. La ammortizza e quindi deduce i costi relativi. Ora la rivende. Emette fattura ma come?
Grazie
 
Secondo me non la deve fatturare in quanto non era un bene dell'attività, le spese e gli ammortamenti li scarica solamente perche era in comodato.
Lidia
 
secondo me (però so che secondo altri invece si può ammortizzare), non poteva nemmeno ammortizzarla.
la normativa lo prevede espressamente solo per l'imprenditore individuale, non per il professionista.

questo si che è un caso dubbio

ciao
 
Tratto dal quesitario di Italia Oggi del 11/12/2006.

Scusate il copia/incolla:

"Ammortamento auto
Con riferimento al quesito 1.1.5 pubblicato che cosa significa che il professionista perde le quote di ammortamento relative agli anni in cui non esercitava l’attività
professionale?
Un professionista può iscrivere l’autovettura personale acquistata prima dell’inizio dell’attività nel registro
beni ammortizzabili e su questi calcolare l’ammortamento?
È corretta questa procedura?
C.L.

Risponde Marco Nessi

Nel caso delineato il passaggio di un’autovettura dalla sfera personale a quella professionale si è verificato
proprio attraverso l’iscrizione del bene nelle scritture contabili al relativo costo di acquisizione. Al riguardo, poi, l’ultimo periodo del comma 3-bis dell’articolo 65 del
Tuir prevede che, in caso di passaggio dei beni strumentali dal patrimonio personale alla sfera professionale,
«le relative quote di ammortamento sono calcolate a decorrere
dall’esercizio in corso alla data di iscrizione»
(per la possibilità di estendere questa disposizione anche ai fini della determinazione del reddito da lavoro
autonomo si veda la risoluzione del 12 aprile 2002, n. 117/E). Alla luce di questa disposizione, quindi, la decorrenza
dell’ammortamento dei beni in esame è ancorata, per espressa previsione normativa, all’esercizio in corso alla data di iscrizione dei beni nelle scritture contabili, indipendentemente dalla data della relativa acquisizione
degli stessi. Da ciò deriva che le quote relative ai periodi anteriori al passaggio dell’auto alla sfera professionale non potranno comunque essere dedotte
(per esempio, ipotizzando l’acquisto dell’auto effettuato nel corso del 2003 e il passaggio dell’auto stessa alla
sfera professionale, comprovato dalla relativa iscrizione nel registro beni ammortizzabili, operato nel corso
del 2005, il costo sostenuto potrà essere ammortizzato esclusivamente in misura pari ai 3/5 del relativo valore, corrispondente alle annualità 2005-2006-2007)"

Ciao
 
Chissà se qualcuno, leggendo questo ulteriore parere, si "converte"...
Io non dispero, non si sa mai... ;-)

"Uno dei tanti" per non confondermi con i sommi poeti e letterati, nonché scienziati, che popolano questo forum... ;-)

[%sig%]
 
ma lo so, uno dei tanti, ne abbiam discusso a fiumi..

solo che però, (l'ho letta in fretta quella risoluzione, sto andando via), quella risoluzione mi pare si riferisca a problematica diversa.. non c'entra con l'art 65

la rileggo domani meglio..

ciao, buona serata

(raggiunatt, se ancora ci sei, astieniti grazie, si cerca di capire seriamente una problematica)
 
Quindi indipendentemente dall'ammortamento (tanto ormai è stato dedotto) la fattura per la vendita secondo voi la devo emettere o no?
 
AMMORTAMENTO SI

IMPOSTE SUI REDDITI - Redditi di lavoro autonomo - Libero professionista - Beni strumentali acquistati ante apertura della partita IVA - Passaggio dalla sfera personale a quella professionale - Rilevazione nei registri contabili - Modalità

di Braga Roberta

in Casi e questioni della riforma tributaria - Caso n. 2289



Caso

Osservazioni 17-01-2005



Caso

Un agronomo intende avviare, a partire dal gennaio 2005, l'attività libero professionale con numero di partita IVA. Per spostarsi dai clienti e per elaborare le perizie e le consulenze che gli vengono richieste userebbe l'autovettura di sua proprietà ed il computer portatile acquistati rispettivamente nel 2001 e nel 2003 e, quindi, prima di intraprendere l'attività di lavoro autonomo.

Si precisa che il professionista vorrebbe optare per il regime di contabilità ordinaria.

Si chiede:

1) E' corretto trasferire dall'ambito privato a quello professionale i beni indicati od occorre invece acquistarne di nuovi dello stesso tipo da intestare allo studio?

2) Se la risposta alla domanda precedente è affermativa, con quali modalità e per quale valore tali beni vanno annotati contabilmente nei registri contabili?

3) E' possibile ammortizzare i beni utilizzando come valore quello del bene usato o comunque quello corrente di mercato?




Osservazioni

E' consentito al professionista trasferire i beni strumentali dalla sfera personale a quella professionale purché i beni stessi vengano iscritti nel registro dei beni ammortizzabili oppure, nel caso in cui questo non sia stato istituito, nel registro acquisti ai fini IVA o da ultimo, in mancanza, nel registro cronologico dei componenti di reddito e delle movimentazioni finanziarie.

L'opzione per il regime di contabilità ordinaria implica la tenuta dei registri fatture emesse ed acquisti ai fini IVA, del registro cronologico e del registro dei beni ammortizzabili.

Con decorrenza dall'1/1/2002, ai sensi dell'art. 14, comma 3, del D.P.R. 7/12/2001, n. 435, gli esercenti arti e professioni, che hanno optato per il regime di contabilità ordinaria previsto dall'art. 3, comma 2, del D.P.R. 9/12/1996, n. 695, hanno la facoltà di non tenere i registri IVA ed il registro dei beni ammortizzabili purché:

- effettuino le registrazioni nel registro cronologico, rispettando i termini indicati per i registri IVA dagli artt. 23, 24 e 25 del D.P.R. 26/10/1972, n. 633 e il termine fissato per la presentazione della dichiarazione dei redditi quanto al libro dei cespiti ammortizzabili;

- forniscano, dietro richiesta dell'Amministrazione finanziaria, gli stessi dati - ordinati in forma sistematica - che avrebbero dovuto annotare nel registro dei beni ammortizzabili e nei registri IVA.

L'art. 14, comma 4, del D.P.R. n. 435/2001 dispone, inoltre, che le rilevazioni effettuate nel registro cronologico equivalgono a tutti gli effetti a quelle prescritte ai fini dell'IVA e a quelle eseguite nel libro dei cespiti ammortizzabili.

La C.M. 25/1/2002, n. 6/E conferma l'esonero dalla tenuta dei registri IVA e del libro cespiti per i lavoratori autonomi che hanno optato per la contabilità ordinaria.

A sua volta, l'art. 1, comma 2, del D.M. 15/9/1990 dispone che il registro cronologico può sostituire i registri IVA se viene integrato con i dati richiesti e tenuto con le modalità disciplinate dal D.P.R. n. 633/1972.

Si ribadisce comunque l'opportunità di annotare i dati relativi al bene strumentale nel registro acquisti IVA, in assenza di istituzione del libro dei cespiti ammortizzabili, considerato che si tratta di beni che in precedenza appartenevano alla sfera privata del contribuente.

Si rileva che l'art. 65, comma 3-bis, del D.P.R. 22/12/1986, n. 917 regolamenta le modalità di ammortamento dei beni strumentali dell'impresa individuale provenienti dal patrimonio personale dell'imprenditore stabilendo che:

1) ai fini fiscali valga il costo determinato ex D.P.R. 23/12/1974, n. 689;

2) il valore così individuato sia iscritto tra le attività relative all'impresa nell'inventario di cui all'art. 2217 del codice civile ovvero, per le imprese minori ex art. 66 del T.U.I.R., nel registro dei beni ammortizzabili;

3) che le quote di ammortamento vengano calcolate a partire dall'esercizio in corso alla data di iscrizione dei beni in parola.

Pertanto, il fondo ammortamento, alla data del trasferimento dei beni dall'ambito privato a quello imprenditoriale, si considera uguale a zero.

Risulta, al contrario del tutto assente, una disposizione simile a quella citata per i liberi professionisti.

Si ritiene che, in caso di passaggio dei beni strumentali personali alla sfera professionale, il valore da assumere nelle registrazioni contabili sia pari al costo di acquisizione dei beni stessi e che il professionista non possa più recuperare le quote di ammortamento corrispondenti agli anni in cui non svolgeva l'attività di lavoro autonomo abituale.

Considerato che, in base al D.M. 31/12/1988, l'ammortamento delle autovetture e dei computers si completa rispettivamente in quattro e in cinque anni, dal momento che il coefficiente di ammortamento per le prime è il 25% e per i secondi corrisponde al 20%, l'autovettura viene interamente ammortizzata nel quadriennio 2001 - 2004, mentre il computer portatile può essere ancora ammortizzato per due anni (dal 2005 al 2006).

Per ragioni di completezza, si fa presente che occorre che il contribuente abbia a disposizione la documentazione probatoria dell'acquisizione del bene strumentale (fattura o ricevuta).



17/1/2005

Roberta Braga



Fonti normative

- D.P.R. 22/12/1986, n. 917, artt. 65 e 66

- D.P.R. 7/12/2001, n. 435, art. 14



--TIPSOA-- TDL TPDPR Y22121986 Y121986 Y1986 N917 NR33320087 VGVIG PPART65 NC917POST CD1 TDL TPDPR Y22121986 Y121986 Y1986 N917 NR33320087 VGVIG PPART66 NC917POST CD1 TDL TPDPR Y07122001 Y122001 Y2001 N435 VGVIG PPART14 CD1
 
AMMORTAMENTO NO

Ammortamento nel reddito di lavoro autonomo

di Bloch John Sorgato Luciano

in Corr. Trib. n.19/2000, pag. 1345



[...]


Ammortamento dei beni provenienti dal patrimonio personale

Nell'ammettere in deduzione le spese sostenute nel periodo di imposta, l'art. 50, comma 1 del D.P.R. n. 917/1986, introduce un criterio di inerenza "originaria", in luogo che sopravvenuta (come si porrebbe in caso di successiva destinazione all'attività professionale di un cespite originariamente acquistato per finalità a questa aliene) delle spese sostenute all'esercizio dell'attività professionale. In assenza di una previsione analoga a quella di cui all'art. 77, comma 3-bis, D.P.R. n. 917/1986, pertanto, il costo dei beni provenienti dal patrimonio personale del professionista deve ritenersi fiscalmente non riconosciuto e, quindi, non ammortizzabile.


--TIPSOA-- TDL TPDPR Y22121986 Y121986 Y1986 N917 VGVIG PPART50 NC917PRE CD1
 
AMMORTAMENTO SI

L'immissione dei beni del professionista nel patrimonio dell'impresa

di Santi Alberto

in Corr. Trib. n.23/2002, pag. 2054



L'inserimento nel patrimonio fiscale dell'imprenditore individuale di beni utilizzati già dallo stesso come "strumentali" all'esercizio della propria attività artistica o professionale presenta problemi di difficile soluzione circa la corretta individuazione del relativo valore fiscalmente riconosciuto. In assenza di una regolamentazione esplicita, si presentano diverse alternative astrattamente percorribili, nessuna delle quali, invero, pienamente appagante sotto il profilo sistematico. Le soluzioni maggiormente accreditate costringono l'interprete, comunque, a sacrificare il tendenziale principio della continuità dei valori, finalizzato a prevenire duplicazioni o salti d'imposta, ovvero quello che sancisce l'irrilevanza dei plusvalori e dei minusvalori nell'ambito della categoria reddituale del lavoro autonomo.



La tematica dei "valori fiscalmente riconosciuti" presenta numerosi profili di interesse e spunti di approfondimento - per l'interprete e, comunque, per coloro che sono chiamati sotto diverso profilo al confronto con la materia tributaria - anche e soprattutto con riferimento a situazioni di non frequente ricorrenza e, proprio per questo, maggiormente trascurate dalla prassi e dalla dottrina. Fra queste ultime ve ne sono talune per le quali - nell'assenza di una disciplina esplicita - risulta difficile individuare una soluzione atta a comporre tutti i termini del problema in modo sistematicamente soddisfacenti. In tal senso, si colloca ad esempio il caso in cui sia necessario individuare il valore di riferimento per i beni inseriti nell'area di rilevanza fiscale dell'impresa ed in precedenza impiegati quali cespiti strumentali all'attività di lavoro autonomo, svolta dal medesimo soggetto. Si tratta, indubbiamente, di ipotesi alquanto marginale, ma che in ogni caso impone un riesame critico dei princìpi che presiedono alla corretta attribuzione del valore suddetto.



Valore fiscalmente riconosciuto

Come è noto, l'inserimento dei beni nel patrimonio dell'impresa - che può avvenire a vario titolo e con diverse modalità - comporta l'assoggettamento degli stessi al relativo regime impositivo sul reddito, caratterizzato dalla tassazione sulla base del risultato economico conseguito in ciascun periodo d'imposta, alla cui formazione concorre ogni singolo elemento relativo all'impresa medesima. Di qui l'esigenza di individuare un valore di riferimento, in relazione al quale misurare i successivi incrementi e decrementi, che concorrono a determinare l'utile o la perdita di esercizio, a quantificare gli ammortamenti, le spese di manutenzione deducibili, ecc. [1].

A motivo dell'esigenza del legislatore tributario di ancorare a parametri quanto più possibile concreti l'individuazione del risultato dell'attività economica e la conseguente tassazione, la valorizzazione fiscale dei beni immessi nel patrimonio dell'impresa è commisurata al costo sostenuto dall'imprenditore per l'acquisto da terze economie o, nel caso in cui vi provveda direttamente, per la fabbricazione dei cespiti: il "costo" assurge, dunque, a criterio generale di valutazione del patrimonio dell'impresa [2]. Le difficoltà sorgono allorché il parametro appena riferito non risulti espresso in denaro o in altri mezzi di pagamento equivalenti, ovvero faccia totalmente difetto.

Quando il costo è rappresentato da un corrispettivo in natura (vale a dire, da un'utilità diversa dal denaro, ma pur sempre economicamente valutabile), il legislatore sopperisce alla mancanza di un importo immediatamente monetizzato, facendo ricorso al "valore normale" dei beni e servizi acquisiti in contropartita, quale risultante dall'applicazione dei criteri esplicitati nell'art. 9, comma 3, del T.U.I.R.

Non sono infrequenti, tuttavia, i casi in cui l'attrazione dei beni al regime fiscale d'impresa avviene per effetto di fenomeni che prescindono dal trasferimento degli stessi ad opera di un diverso soggetto [3]. Il che può avvenire - oltre che per una serie di eventi riconducibili a modifiche nella struttura o nella natura dei soggetti collettivi (quali la fusione, la scissione, la trasformazione, ecc.) - in virtù del semplice mutamento della destinazione impressa ai beni stessi (come ad esempio, per quelli che provengono dal patrimonio personale dell'imprenditore), ovvero in occasione del superamento di certi limiti quantitativi nell'esercizio dell'attività dell'impresa (come accade nell'esercizio dell'attività agricola, allorché si eccedano i confini delineati dall'art. 29 del T.U.I.R.).



Beni già strumentali del lavoratore autonomo

Una particolare ipotesi di inserimento nel ciclo fiscale dell'impresa di beni non acquisiti mediante scambi con economie esterne, come accennato in premessa, si realizza nel caso in cui gli stessi fossero, in precedenza, inerenti all'attività di lavoro autonomo svolta dallo stesso soggetto [4]. Tale fattispecie presenta aspetti estremamente problematici, attesa la totale assenza di una regolamentazione normativa ed in considerazione delle peculiari difformità esistenti fra il regime fiscale del reddito d'impresa e quello derivante dall'esercizio di arti e professioni.

Sotto quest'ultimo profilo, è stata anzitutto posta in rilievo la difficoltà ad accertare i "beni relativi all'esercizio dell'arte e della professione", in difetto di una disposizione analoga a quella contenuta nell'art. 77 del T.U.I.R. per i redditi di lavoro autonomo e di un apparato contabile paragonabile a quello che, con riferimento alle imprese, si basa sull'inventario [5]. Le ragioni di una simile scelta legislativa devono probabilmente ricercarsi nell'esigenza di non appesantire, con onerose formalità amministrative, la gestione patrimoniale dei lavoratori autonomi, spesso di consistenza modesta [6].

In realtà, il riscontro pratico di tale osservazione è piuttosto limitato, laddove si pensi che l'individuazione dei beni strumentali per l'esercizio dell'arte e della professione per i quali si richiede la deduzione di quote di ammortamento (vale a dire, la quasi totalità dei beni che potrebbero essere successivamente impiegati in un'attività imprenditoriale) risulta comunque agevole. Il contribuente, infatti, è tenuto ad annotarne il valore nel registro di cui all'art. 19 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ovvero - qualora abbia esercitato l'opzione per il regime di contabilità ordinaria - nel registro dei beni ammortizzabili, sempreché sia stato istituito. Per gli altri beni mobili (è quanto accade, ad esempio, ai materiali di consumo) si renderà invece necessaria un'analisi fattuale, trattandosi di verificare se il costo di acquisto è stato dedotto ai fini della determinazione del reddito professionale e/o se l'IVA relativa è stata computata in detrazione, nel qual caso sarà difficile sostenerne l'estraneità alla sfera della professione [7]. Relativamente agli immobili, occorre distinguere quelli acquistati o costruiti fino al 14 giugno 1990, per i quali non sorgono particolari problemi - poiché, essendo fiscalmente ammortizzabili, saranno evidenziati nei registri sopra indicati - da quelli acquistati o costruiti successivamente a tale data, la cui strumentalità per l'esercizio della professione si desume dalla deduzione della relativa rendita catastale (fino al 1992) e delle spese per utenze [8].



Soluzioni astrattamente ipotizzabili

In ordine alla valorizzazione fiscale dei beni inseriti nel contesto imprenditoriale e provenienti dall'ambito professionale del soggetto d'imposta, in dottrina [9] sono state ipotizzate tre diverse soluzioni, che di seguito si ripropongono sinteticamente.

Secondo una prima tesi ricostruttiva, i beni già strumentali per il professionista devono considerarsi provenienti dal "patrimonio personale dell'imprenditore" [10] e, conseguentemente, ad essi deve essere attribuito un valore determinato secondo i criteri di cui al D.P.R. 23 dicembre 1974, n. 689, in modo analogo a quanto disposto dall'art. 77, comma 3-bis, del T.U.I.R. La norma da ultimo citata, in particolare, stabilisce che "per i beni strumentali dell'impresa individuale provenienti dal patrimonio personale dell'imprenditore è riconosciuto, ai fini fiscali, il costo determinato in base alle disposizioni di cui al D.P.R. 23 dicembre 1974, n. 689, da iscrivere tra le attività relative all'impresa nell'inventario di cui all'art. 2217 c.c. ovvero, per le imprese di cui all'art. 79, nel registro dei cespiti ammortizzabili". In estrema sintesi, si ricorda che il D.P.R. n. 689/1974 stabilisce i criteri di valutazione per la redazione del prospetto delle attività e delle passività esistenti al 1° gennaio 1974 da parte delle imprese obbligate alla tenuta della contabilità secondo le prescrizioni di cui al D.P.R. n. 600/1973 e che, prima dell'entrata in vigore di quest'ultimo, non erano tassabili in base al bilancio ai sensi degli artt. 8 e 104 dell'abrogato T.U. delle leggi sulle imposte dirette (D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645).

Il sistema di valutazione che risulta da tali disposizioni è sostanzialmente ancorato all'originario costo di acquisizione o di produzione dei beni. In particolare, l'art. 4 del D.P.R. n.689/1974 stabilisce che "i beni immobili e i beni iscritti in pubblici registri sono valutati singolarmente in base al costo, assumendo come tale il valore definitivamente accertato ai fini delle imposte di registro o di successione o, in mancanza, il prezzo indicato nell'atto di acquisto, maggiorati degli oneri accessori di diretta imputazione", mentre "per i beni costruiti in economia od in appalto, si assume il costo di produzione documentato o da stimare con riferimento alla data di ultimazione della costruzione". Il successivo art. 5 prevede che gli altri beni mobili strumentali "sono valutati in base al costo di acquisizione, maggiorato degli oneri accessori di diretta imputazione", mentre, "se manca la documentazione del costo, si assume il valore normale alla data di acquisizione". Il valore così determinato viene maggiorato, a titolo di spese incrementative, nella misura forfetaria del 3% per ciascun anno o frazione d'anno superiore a sei mesi, ovvero nella maggior misura risultante dalla relativa documentazione.

Tale alternativa non sembra, a prima vista, correttamente praticabile [11] e non soltanto per l'assenza di un richiamo esplicito alla predetta disciplina. Presupposto per l'applicazione della normativa testé citata, infatti, è quello per il quale i beni, in quanto provengano dal patrimonio personale del soggetto, siano privi di un valore fiscalmente riconosciuto ed irrilevanti ai fini della determinazione delle imposte sul reddito, salve le ipotesi delineate nell'art. 81 del T.U.I.R. Nel caso di beni provenienti dall'ambito professionale, un valore fiscale esiste già e di esso - nella misura in cui si tratti di cespiti strumentali - il contribuente ha già tenuto conto per la deducibilità delle quote di ammortamento.

La stessa soluzione, tuttavia, potrebbe risultare meno irragionevole laddove si operi un confronto con quanto sembra discendere dalla rigorosa interpretazione del dettato dell'art. 2, comma 2, n. 5, del D.P.R. n. 633/1972, in base al quale costituisce cessione imponibile ai fini dell'IVA "la destinazione di beni all'uso o al consumo personale o familiare dell'imprenditore o di coloro i quali esercitano un'arte o una professione o ad altre finalità estranee all'impresa o all'esercizio dell'arte o della professione, anche se determinata da cessazione dell'attività, con esclusione di quei beni per i quali non è stata operata, all'atto dell'acquisto, la detrazione dell'imposta di cui all'art. 19". Dalla lettura di tale disposizione si potrebbe desumere che il passaggio dei beni dalla sfera del lavoro autonomo a quella dell'impresa sia configurabile come ipotesi di autoconsumo imponibile (sotto forma di "destinazione dei beni a finalità estranee all'esercizio dell'arte o professione"). Ciò vale a dire - trasponendo siffatta conclusione nell'ambito dell'imposizione sul reddito, che qui occupa - che il menzionato trasferimento potrebbe risultare idoneo a configurare quella soluzione nella continuità del regime fiscale dei beni, atta a qualificare gli stessi come provenienti dal "patrimonio personale" del contribuente nel momento della loro immissione nell'area di rilevanza fiscale dell'impresa.

In base ad una diversa impostazione, invece, i beni dell'ex-professionista potrebbero mantenere, anche allorché divengano "relativi all'impresa", il valore fiscale che possedevano nell'ambito del lavoro autonomo, di modo che nel passaggio di regime ne sia assicurata la continuità. E' questa la soluzione che la dottrina ritiene preferibile [12] e che appare maggiormente in linea con il tendenziale orientamento del legislatore, che sembra quello - nell'alternativa fra valore corrente e costo storico - di privilegiare quest'ultimo, allorché vi sia unicità del soggetto giuridico. In letteratura, la coerenza di questa seconda prospettiva ricostruttiva della tematica in oggetto - nel sistema di imposizione ai fini dell'IVA e, segnatamente, con riferimento alla norma che sancisce la rilevanza a tale proposito dell'autoconsumo esterno per il professionista - discende da un approccio ermeneutico più sostanziale al dettato dell'art. 2, comma 2, n. 5, del D.P.R. n. 633/1972, il quale induce ad escludere dalle fattispecie tassabili la destinazione dei beni relativi all'esercizio della professione ad un'attività d'impresa, ove si tenga presente che la logica della disposizione citata è quella di evitare che i beni giungano detassati al consumo [13].

Anche questa alternativa, però, si dimostra non del tutto appagante, qualora si tenga a mente la circostanza che le plusvalenze maturate sui beni, nel periodo in cui gli stessi erano impiegati nello svolgimento del lavoro autonomo, non sarebbero rimaste incise dal prelievo sul reddito se i beni fossero stati ceduti allora. Le quali, invece, vengono pienamente attratte a tassazione nel regime d'impresa, nel caso in cui si privilegi il criterio che mantiene il costo storico dei cespiti quale valore fiscalmente riconosciuto degli stessi [14].

Infine, il passaggio da una sfera patrimoniale all'altra del soggetto - ciascuna caratterizzata da un proprio peculiare regime fiscale - potrebbe dirsi assimilabile all'acquisto da un'economia esterna. Non essendovi pagamento di un corrispettivo, la valutazione fiscale dei beni dovrebbe avvenire, allora, in base al valore normale degli stessi all'atto dell'inserimento nel patrimonio dell'impresa. Quest'ultima rappresenta, invero, una soluzione del tutto simmetrica rispetto a quella suggerita dalla dottrina [15] (ma, come accennato in precedenza, non adottata dal legislatore del T.U.I.R.) per la valorizzazione dei beni provenienti dal patrimonio personale dell'imprenditore [16] e coerente con il dato testuale emergente dalla normativa IVA sull'autoconsumo, che consentirebbe - anche con riguardo ai beni provenienti dalla sfera del lavoro autonomo - di evitare la tassazione delle plusvalenze maturate antecedentemente all'immissione nel patrimonio dell'impresa. Non può sottacersi, peraltro, come esista una differenza rimarchevole fra le due ipotesi, poiché nel caso che qui interessa i beni sono già dotati di un valore fiscalmente riconosciuto [17].

Vero è che dall'esame del quadro normativo di riferimento non pare potersi desumere con nettezza un criterio atto a comporre in maniera soddisfacente tutti i termini del problema. Anche l'asserita preferenza del legislatore per il mantenimento dei valori fiscalmente riconosciuti in assenza di scambi con terzi soggetti [18], infatti, non può certamente dirsi assoluta. Le disposizioni transitorie recate dall'art. 10-bis), comma 2, del D.L. 2 marzo 1989, n. 69 [19], con riferimento ai beni del patrimonio personale utilizzati nell'impresa al 31 dicembre 1988, ad esempio, attribuiscono piena rilevanza, ai fini dell'iscrizione nell'inventario, anziché al valore determinato in base al D.P.R. n. 689/1974, al valore normale dei beni medesimi alla predetta data.






Note:

1 Sul tema, fra gli altri, cfr. L. Carpentieri, Redditi in natura e valore normale nelle imposte sui redditi, Milano, 1997, pag. 109.



2 In merito alla nozione di "costo", con riferimento alle imposte sui redditi, si vedano - ex multis - G. Zizzo, "Regole generali di determinazione del reddito d'impresa", in AA.VV., L'imposta sul reddito delle persone fisiche, tomo II, in Giur. sist. dir. trib., diretta da F. Tesauro, Torino, 1994, pag. 567; L. Perrone, "I costi nel reddito d'impresa", in il fisco, 1980, pag. 314.



3 Si tratta di quegli atti che G. Falsitta, La tassazione delle plusvalenze e sopravvenienze nelle imposte sui redditi, Padova, 1986, pag. 29, definisce "atti neutri", con riferimento ai quali, cioè, fanno difetto i caratteri dell'onerosità e della gratuità.



4 Il medesimo soggetto può esercitare anche contemporaneamente attività d'impresa ed arti o professioni. In tal caso, stante l'unicità della posizione soggettiva identificativa, il legislatore impone la separazione delle attività ai soli effetti dell'IVA secondo il dettato dell'art. 36, secondo comma, del D.P.R. n. 633/1972, in base al quale "l'imposta si applica separatamente per l'esercizio di imprese e per l'esercizio di arti e professioni, secondo le rispettive disposizioni e con riferimento al rispettivo volume d'affari". Come esplicitato dalla C.M. 22 maggio 1981, n. 18/331568, in I Quattro Codici della Riforma Tributaria big, Cd-rom, IPSOA, la prescritta separazione impone la tenuta di registri distinti per ciascuna attività e l'autonomo assolvimento degli obblighi di fatturazione, registrazione e liquidazione del tributo. La cennata previsione normativa, naturalmente, non interferisce in alcun modo sugli obblighi stabiliti in materia di scritture contabili, ai fini delle imposte sui redditi, dal Titolo II del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, cosicché per ciascuna attività si seguiranno i rispettivi criteri di contabilizzazione dei fatti economici.



5 Cfr. R. Lupi, "Cessione e "autoconsumo" di beni acquistati senza Iva: una razionalizzazione a metà", in Boll. trib. inf., 1992, pag. 645, nota 1; Id., Diritto tributario. Parte speciale, Milano, 1998, pag. 209; D. Stevanato, Inizio e cessazione dell'impresa nel diritto tributario, Padova, 1994, pag. 73, nota 72.



6 In tal senso, si esprime R. Lupi, Diritto tributario. Parte speciale, cit., pag. 210, nota 14.



7 Lo riconosce lo stesso R. Lupi, "Cessione e "autoconsumo" di beni acquistati senza Iva: una razionalizzazione a metà", cit., loc. ult. cit.



8 In base al dettato dell'art. 50, comma 2, quarto periodo, del T.U.I.R., per gli immobili strumentali acquistati o costruiti dal 15 giugno 1990 non è ammessa la deducibilità delle quote di ammortamento (art. 14, comma 2, del D.L. 27 aprile 1990, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 giugno 1990, n. 165) e, a partire dal 1993, neppure la deducibilità di una somma pari alla rendita catastale (art. 14, comma 3, della legge 24 dicembre 1993, n. 537). Si considerano strumentali - e, quindi, non produttivi di reddito fondiario - gli immobili "utilizzati esclusivamente per l'esercizio dell'arte e della professione", a tenore del disposto della prima parte del secondo comma dell'art. 40 del T.U.I.R.



9 Una trattazione sistematica della fattispecie in esame viene svolta da D. Stevanato, Inizio e cessazione dell'impresa nel diritto tributario, cit., pag. 73 ss., al quale si farà spesso riferimento nel prosieguo di questa breve disamina.



10 Per bene proveniente dal patrimonio personale dell'imprenditore, chiarisce l'art. 58, comma 3, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, "deve intendersi quello di proprietà dell'imprenditore stesso, non acquistato nell'esercizio dell'impresa, indipendentemente dall'anno di acquisizione e dal periodo di tempo intercorso tra l'acquisto e l'utilizzazione nell'impresa".



11 Cfr., nel medesimo senso, D. Stevanato, Inizio e cessazione dell'impresa nel diritto tributario, cit., pag. 74.



12 Il riferimento è ancora a D. Stevanato, Inizio e cessazione dell'impresa nel diritto tributario, cit., pag. 76.



13 D. Stevanato, Inizio e cessazione dell'impresa nel diritto tributario, cit., pag. 75; M. Mandò e G. Mandò, Manuale dell'imposta sul valore aggiunto, IPSOA, 2001, pag. 28, i quali richiamano - a questo proposito - la fondamentale Corte di giustizia CE, 27 aprile 1999, causa C-48/97, in Corr. Trib. n. 32/1999, pag. 2431, con commento di P. Centore.



14 Il discorso è ovviamente speculare per le minusvalenze che potrebbero scaturire dalla rapida obsolescenza dei beni. Il summenzionato principio della continuità dei valori, inoltre, non avrebbe modo di esplicarsi con riferimento agli immobili esclusivamente strumentali, di recente acquisto o costruzione, per i quali non è riconosciuto alcun valore fiscale nella determinazione del reddito di lavoro autonomo, mentre vengono trattati alla stessa stregua degli altri beni strumentali nel campo del reddito d'impresa. Analogamente, nel caso in cui al passaggio di regime corrisponda un mutamento di destinazione del bene e l'immobile utilizzato promiscuamente nell'attività professionale (per il quale è ammessa la deduzione del 50% della rendita catastale) divenga esclusivamente strumentale all'impresa (per cui sono deducibili le quote annuali di ammortamento).



15 Cfr., ad esempio, G.P. Tosoni, "I beni personali provenienti dal patrimonio dell'imprenditore", in Corr. Trib. n. 45/1989, pag. 3128; R. Lunelli, "Il dilemma dei beni relativi all'impresa individuale e quelli personali dell'imprenditore", in Corr. Trib. n. 21/1989, pag. 1377; Id., "I beni strumentali nella ditta individuale. Una storia infinita", in il fisco, 1990, pag. 6864; Id., "L'immobile strumentale dell'imprenditore individuale. Una storia infinita. Ulteriori osservazioni", in il fisco, 1991, pag. 2798; Id., "L'immobile strumentale per destinazione", in il fisco, 1992, pag. 2156, nota 14; M. Miccinesi, Le plusvalenze d'impresa. Inquadramento teorico e profili ricostruttivi, Milano, 1993, pag. 145.



16 La simmetria sarebbe giustificata dalla circostanza che - come avviene in linea di principio per i beni del patrimonio personale dell'imprenditore - anche le plusvalenze e le minusvalenze patrimoniali conseguite con riferimento ai beni strumentali per l'esercizio dell'attività professionale o artistica non scontano l'imposta sul reddito.



17 Il criterio del valore normale potrebbe consentire un salto d'imposta, in quanto il contribuente sarebbe legittimato a fruire del beneficio fiscale derivante dalla possibilità di dedurre nuove quote di ammortamento, relativamente al medesimo bene (in ipotesi) già interamente ammortizzato nell'ambito dell'attività professionale, commisurate ad un valore fiscale che potrebbe risultare addirittura più elevato rispetto al costo originario di acquisto. Per completezza, si segnala come problemi non dissimili si pongono allorché il patrimonio aziendale facente capo ad un soggetto non residente, che svolge attività commerciale all'estero, venga attratto alla sfera dell'imposizione nazionale sul reddito. In questo caso, la dottrina è invece sostanzialmente unanime nel sostenere la correttezza della presa in carico dei cespiti in base al relativo valore corrente (si veda, per tutti, M. Miccinesi, Le plusvalenze d'impresa. Inquadramento teorico e profili ricostruttivi, cit., pagg. 152-153).



18 D. Stevanato, Inizio e cessazione dell'impresa nel diritto tributario, cit., pag. 75, rileva che, benché il medesimo risultato di acquisire maggiori valori fiscali senza pagamento di imposte si otterrebbe legittimamente acquistando i beni da un altro lavoratore autonomo, nel nostro caso la soluzione prospettata sarebbe censurabile a cagione dell'assenza di un trasferimento tra due sfere soggettive. L'Autore critica la soluzione in commento, infatti, per la circostanza che la stessa postulerebbe un'artificiosa "cessione gratuita" tra i due ambiti fiscali del soggetto.



19 Convertito, con modificazioni, dalla legge 27 aprile 1989, n.154.
 
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