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Difesa da studi di settore

Chiedo se qualcuno ha notizie di recenti sentenze di cassazione che escludono la valenza di presunzione degli studi di settore.
Per il momento ho trovato solo un interessante articolo pubblicato sul n.1 della rivista Fiscalitax, visibile anche sul sito Benvenuti in fiscalitax

grazie
 
Riferimento: Difesa da studi di settore

io leggendo la settimana fiscale del 7-2-2008 ho trovato questa sentenza di cui magari sei gia al corrente: corte di cassazione ,sez trib, sentenza 17.10-30-10-2007 n 22938/07

ciao
 
Riferimento: Difesa da studi di settore

Sentenza Cassazione civile, sez. Tributaria, 30-10-2007, n. 22938 - Pres. Paolini - Rel. Genovese

[Percentuali di ricarico]


Bar pasticceria. Contabilità regolare. Accertamento induttivo. Utilizzo di percentuali di ricarico. Inversione dell'onere della prova a carico del contribuente. Insufficienza.



Svolgimento del processo

- Rilevato che il signor V.N. ha presentato ricorso contro un avviso di accertamento con il quale l'ufficio finanziario aveva rettificato il reddito dichiarato dal ricorrente per l'anno 1992 e determinato in via induttiva un maggior reddito, ai fini applicativi dell'Irpef, utilizzando una più alta percentuale di ricarico (dall'87 per cento applicata dal contribuente al 170 per cento) in base agli studi di settore e alla cosiddetta legge Visentini-ter;

che, dopo il giudizio di prime cure favorevole al contribuente, la Commissione tributaria regionale ... affermava che: "la tenuta della contabilità in maniera formalmente regolare non è di ostacolo alle rettifica delle dichiarazioni, che ... non possono essere disattese sulla base della semplice applicazione di una diversa percentuale di ricarico, anche se frutto di uno studio di settore, costituisce pur sempre dato che abbisogna del conforto di qualche ulteriore elemento per giustificarne l'attribuzione di un maggior reddito";

che avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione il Ministero delle finanze e l'Agenzia delle Entrate, affidato ad un unico motivo, avverso il quale il contribuente non svolge difese;

che, secondo i ricorrenti, premesso che il contribuente non avrebbe fornito alcun elemento probatorio a suo favore, nella fase amministrativa, anche in presenza di una contabilità formalmente regolare, l'attività svolta (quella di bar-pasticceria) non potrebbe scendere sotto la soglia minima di redditività del 170 per cento quale minimo ricarico del costo delle materie prime adoperate nell'esercizio;

che a tale risultato si perverrebbe sul sistema matematico che tiene conto di dati forniti dalle dichiarazioni (come quella del contribuente) proprie del settore;

che tale percentuale costituirebbe una presunzione grave, precisa e concordante stabilita a favore dell'Amministrazione, che comporterebbe l'inversione dell'onere probatorio per il contribuente;

che, richiesto del parere in ordine all'eventuale sussistenza d'una delle ipotesi di cui all'art. 375 del codice di procedura civile, il Procuratore generale presso questa Corte ha chiesto il rigetto del ricorso per manifesta infondatezza;

che con l'unico motivo di ricorso (con il quale lamentano la violazione dell'art. 39 del D.P.R. n. 600 del 1973 e D.M. 30 dicembre 1993) i ricorrenti deducono che la Commissione tributaria regionale avrebbe erroneamente riscontrato la ricorrenza di una contabilità formalmente corretta senza avvedersi che le percentuali di ricarico proprie del settore merceologico in questione avrebbero comportato un'inversione dell'onere probatorio, ponendolo a carico del contribuente;

che il Procuratore generale ha chiesto dichiararsi il rigetto del ricorso per la sua manifesta infondatezza.

Motivi della decisione

- Considerato che tale conclusione deve essere seguita, sia pure solo con riferimento al ricorso per cassazione dell'Agenzia;

che, infatti, il ricorso del Ministero è inammissibile, in quanto il giudizio di appello si è svolto nei riguardi dell'Agenzia locale e non già dell'ufficio periferico dell'Amministrazione finanziaria;

che, riguardo al merito, così come posto dal ricorso dell'Agenzia, questa Corte ha già avuto modo di esaminare e definire la questione oggi nuovamente sottopostole, con un orientamento sostanzialmente univoco;

che, infatti, con la sentenza n. 26388 del 2005, questa stessa sezione ha affermato il principio di diritto a termini del quale, "in presenza di scritture contabili formalmente corrette, non è sufficiente, ai fini dell'accertamento di un maggior reddito d'impresa, il solo rilievo dell'applicazione da parte del contribuente di una percentuale di ricarico diversa da quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza - posto che le medie di settore non costituiscono un 'fatto notò, storicamente provato, dal quale argomentare, con giudizio critico, quello ignoto da provare, ma soltanto il risultato di una estrapolazione statistica di una pluralità di dati disomogenei, risultando quindi inidonee, di per sé stesse, ad integrare gli estremi di una prova per presunzioni -, ma occorre, invece, che risulti qualche elemento ulteriore - tra cui anche l'abnormità e l'irragionevolezza della difformità tra la percentuale di ricarico applicata dal contribuente e la media di settore - incidente sull'attendibilità complessiva della dichiarazione, ovverosia la concreta ricorrenza di circostanze gravi, precise e concordanti";

che tale decisione aveva fatto seguito, sia pure in materia di Iva, quella n. 641 del 2006 e secondo la quale: "l'infedeltà dei dati indicati nella dichiarazione, che può anche essere indirettamente desunta sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti (art. 54 del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633), non può essere inferita dalla sola circostanza costituita dal fatto che la percentuale di ricarico applicata sul costo della merce venduta è notevolmente inferiore a quella media, riscontrabile nel settore specifico di attività in aziende similari, in quanto 'le medie di settorè non integrano un 'fatto notò, storicamente provato, dal quale argomentare, con giudizio critico, quello 'ignotò, costituente l'oggetto del thema probandum, ma il risultato di una extrapolazione statistica di una pluralità di dati che fissa una regola di esperienza, in base alla quale poter ritenere statisticamente meno frequenti i casi che si allontanano dai valori medi, rispetto a quelli che si avvicinano";

che il richiamo a tale regola di esperienza non comporta neppure un'inversione dell'onere della prova, addossando al contribuente quello di dimostrare le ragioni specifiche della divergenza dei propri dati da quelli medi, perché nelle fattispecie normative previste (nella specie: dagli artt. 54 e 55 del D.P.R. n. 633 del 1972) l'infedeltà della dichiarazione costituisce la premessa stessa del sorgere del potere di accertamento induttivo;

che tale indirizzo è stato ulteriormente ribadito dalla decisione n. 7914 del 2007 che, con riguardo all'accertamento induttivo del reddito d'impresa, ha affermato il principio secondo cui, "ai fini della determinazione della percentuale di ricarico, i valori percentuali medi del settore non rappresentano un fatto noto storicamente provato, ma costituiscono il risultato di una estrapolazione statistica di una pluralità di dati disomogenei: essi, pertanto, non integrano presunzioni gravi, precise e concordanti, ma una semplice regola di esperienza, che se non consente, in mancanza di ulteriori elementi, di presumere l'esistenza di attività non dichiarate, può tuttavia essere utilizzata per determinare il reddito nell'ipotesi di cui all'art. 41, comma 2, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, che, derogando alle disposizioni di cui al primo comma, permette all'ufficio di ricostruire il reddito anche sulla base di presunzioni prive degli anzidetti caratteri";

che, in conclusione, l'utilizzazione delle percentuali di ricarico, risultanti dalle medie di settore, da sola è insufficiente a fornire materia presuntiva idonea all'inversione dell'onere probatorio per il contribuente, ove la stessa non sia ulteriormente assistita, da altri elementi, di segno convergente, idonei ad escludere la natura marginale dell'impresa (o del professionista) considerato, in rapporto alle condizioni relative all'area geografica, all'area urbana o a quella periferica, alla tipologia dell'esercizio, alle condizioni personali di chi svolge l'attività esaminata, a campioni di prodotto di particolare significato, eccetera;

che, infatti, laddove (come nella specie) la contabilità sia formalmente corretta, il solo scostamento dalla media di settore ha un debole significato indiziario, ove non corroborato da altri elementi significativi e convergenti;

che, tale non può dirsi la mancata risposta alle richieste svolte in sede procedimentale amministrativa, allo stesso modo di come, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la forza probatoria dei risultati dell'accertamento fiscale compiuti dall'ente impositore non sono inficiati per il semplice fatto dalla mancata convocazione del contribuente (Cassazione, sent. n. 14675 del 2006, n. 6232 del 2003, n. 8422 del 2002, n. 4273 e n. 3128 del 2001, n. 9946 del 2000, eccetera);

che il richiamato indirizzo interpretativo, con il ricorso neppure scalfito da altre e diverse argomentazioni rispetto a quelle già confutate con le richiamate decisioni di questa Corte, va riaffermato in questa sede, con la conseguenza che il ricorso deve essere respinto, senza che sia necessario provvedere sulle spese di questa fase, per il mancato svolgimento di attività difensiva da parte del contribuente.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso del Ministero delle finanze e respinge quello proposto dall'Agenzia delle Entrate
 
Riferimento: Difesa da studi di settore

Sentenza n. 338 del 10/12/2007 CTP Lecce
Sentenza n. 282 del 26/10/2007 CTP Foggia
 
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