Forti restrizioni alla delocalizzazione nel cd. "Decreto Dignità" approvato il 2 luglio 2018 e approdato in Gazzetta solo il 13 luglio. Benchè "svuotato" della norma sulla proroga del termine di introduzione della fattura elettonica per i carburanti (finita in un decreto light approvato il 27 giugno 2018) tra le novità contenute nel decreto ci sono misure contro il fenomeno della “delocalizzazione ” produttiva delle imprese, ovvero lo spostamento in altri Paesi di processi produttivi o di fasi di lavorazione.
Pur in mancanza di una statistica ufficiale, come si evince dal comunicato stampa con cui è stato presentato il decreto, sono molte le imprese, per lo più appartenenti a multinazionali o a gruppi industriali di rilevanti dimensioni in termini di fatturato e occupazione, che negli ultimi anni hanno scelto di delocalizzare le attività al di fuori del territorio nazionale. Quello che si intende fare è scongiurare o comunque sanzionare casi, come quelli registrati anche in tempi recenti, che vedono importanti imprese beneficiarie di aiuti in “ricerca, sviluppo e innovazione” ridurre o interrompere attività oggetto di agevolazione nell’arco del decennio, vanificando il beneficio collettivo in termini di ricadute economiche e industriali che aveva determinato la scelta di sostegno pubblico.
Le norme contenute nel decreto in commento, ponendo limiti più stringenti alle imprese ridefinisce divieti e sanzioni. Per prima cosa le norme ampliano l’ambito oggettivo di applicazione del vincolo della delocalizzazione rispetto alla disciplina vigente, essendo quest’ultima
- limitata alle delocalizzazioni effettuate in Paesi non appartenenti all’Unione europea
- riferita esclusivamente a imprese beneficiarie di contributi in conto capitale,
- condizionata al verificarsi di una riduzione di personale pari almeno al 50%.
Una particolare attenzione è stata data al super/iper ammortamento prevedendo un meccanismo di “recapture” delle agevolazioni concesse per i casi in cui nel corso della fruizione del beneficio i beni agevolati formino oggetto di cessione a titolo oneroso o di delocalizzazione. In particolare la norma stabilisce che in caso di cessione a titolo oneroso o di delocalizzazione all’estero dei beni per i quali si è fruito dell’agevolazione l’impresa è tenuta a restituire, attraverso una variazione in aumento del reddito imponibile, i benefici fiscali applicati nei periodi d’imposta precedenti.