L’incasso giuridico è quella finzione giuridica in base alla quale la rinuncia ad un credito correlato a redditi tassati per cassa comporta la presunzione d’incasso del credito e quindi l’obbligo di sottoporre a imposizione fiscale il relativo ammontare.
Il principio ha una evidente matrice antielusiva e trova il suo fondamento nella prassi, con l’avvallo di consolidata giurisprudenza.
L’Agenzia delle Entrate si espressa sull’argomento con la circolare numero 73/E/430 del 27 maggio 1994, i cui assunti sono stati fatti propri dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione.
La ratio che sta alla base di questo principio è la necessità di impedire arbitraggi fiscali che si potrebbero verificare tra la società, che è tassata per competenza, e il socio, che è tassato per cassa.
Recentemente la Corte di Cassazione si è occupata di nuovo della questione: la sentenza numero 16595 del 12 giugno 2023 segna un fondamentale cambiamento della posizione della corte sull’argomento, in conformità e in conseguenza del mutato assetto normativo.
Nel caso preso in esame il socio di una società di capitali rinunciava al credito nei confronti dell’impresa insieme agli interessi maturati su tale finanziamento.
Secondo il principio dell’incasso giuridico, in conseguenza della rinuncia, il credito si sarebbe dovuto considerare come se fosse stato incassato e versato nuovamente in società, come se la rinuncia costituisse la sommatoria delle due operazioni: in conseguenza di ciò, in capo al socio, gli interessi maturati costituirebbero reddito di imponibile.
La Corte di Cassazione, nel superare la tesi dell’incasso giuridico, ci ricorda che la finzione giuridica trovava la sua giustificazione d’esistenza nella formulazione originaria dell’articolo 88 comma 4 del TUIR: in base al quale, in una situazione del genere, la società avrebbe potuto dedurre per competenza gli interessi passivi, ma la successiva rinuncia da parte del socio non avrebbe generato una sopravvenienza attiva imponibile; “di qui la necessità, mediante una fictio iuris, di equiparare, ai fini fiscali, la rinuncia all'incasso e di sottoporne l'ammontare a prelievo fiscale, anche mediante ritenuta d'imposta”. Fondamentalmente “la tesi dell'incasso giuridico […] si giustifica in un regime fiscale […] in cui la rinuncia al credito, sul versante della società debitrice, è soggetta ad un regime di non tassabilità”.
Però, in conseguenza della novella normativa rappresentata dal Decreto Legislativo 147/2015, che ha introdotto il comma 4-bis all’articolo 88 del TUIR, il contesto normativo è cambiato nella sostanza; oggi, in una situazione come quella in esame,
- la società continua a dedurre gli interessi passivi per competenza;
- nel momento in cui il socio rinuncia al credito, la società realizza una sopravvenienza attiva per l’importo del credito rinunciato eccedente il suo valore fiscale;
- e “l'ammontare della rinuncia al credito che si aggiunge al costo della partecipazione è nei limiti del valore fiscale del credito oggetto di rinuncia”.
Pertanto, spiega la Corte, accade “che la rinuncia di un credito avente valore fiscale pari a zero, come per i crediti legati ad un reddito tassato per cassa, non incrementa il valore fiscale della partecipazione, diversamente da quanto prospettato nel precedente regime […] a sostegno della teoria dell'incasso giuridico”, “di contro, detta rinuncia comporta la tassazione integrale della sopravvenienza attiva in capo alla società partecipata”; quindi “le asimmetrie cui la regola dell'incasso giuridico intendeva porre rimedio sono state, pertanto, risolte dal legislatore”.
In conseguenza di tutto ciò, la Corte di Cassazione enuncia il seguente principio di diritto: “in tema di imposte sui redditi di capitale - in ragione di quanto previsto dall'articolo 88, comma 4-bis, articolo 94, comma 6, articolo 101, comma 5, TUIR a seguito delle modifiche di cui alla Legge 14 settembre 2015, numero 147, articolo 13 - la rinuncia, operata da un socio nei confronti della società, al credito avente ad oggetto interessi maturati su finanziamenti erogati nei confronti di una società partecipata, non comporta l'obbligo di sottoporne a tassazione il relativo ammontare, con applicazione, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica numero 600 del 1973, articolo 26, comma 5, della ritenuta fiscale, cui la società è tenuta quale sostituto d'imposta, avendo le nuove disposizioni rimediato all'asimmetria fiscale o salto d'imposta di cui al precedente regime”.
In definitiva quindi, in relazione alla rinuncia del credito da parte del socio, in conseguenza delle modifiche normative del 2015, l’incasso giuridico è superato; si attende adesso la presa d’atto da parte della prassi.