Nella recente puntata di Report trasmessa su Rai Tre lo scorso 15 maggio, è stato affrontato, tra gli altri, il delicato tema del lavoro nello sport dilettantistico, in virtù dell'imminente e definitiva (si spera) entrata in vigore della Riforma del Lavoro Sportivo (1/7/23), parte della più ampia Riforma dello Sport, introdotta al fianco della Riforma del Terzo Settore.
Sebbene sia importante condurre inchieste e accendere riflettori su questioni che riguardano la tutela del lavoro, soprattutto quando tali questioni non vengono affrontate al di fuori della stampa specializzata di settore, il giudizio sull'inchiesta di Report non può essere considerato positivo.
Ciò perchè ne è emersa un'analisi piuttosto superficiale e lacunosa di una fattispecie complessa, oggetto da decenni dello studio attento da parte degli addetti al settore, di numerosi contenziosi (in ambito fiscale e previdenziale), nonchè degli sforzi compiuti dai Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili, al fine di districare una trama fitta e colmare vuoti normativi (con buona pace di chi ancora non riesce a cogliere e apprezzare il valore aggiunto offerto dalla categoria, al servizio del Paese!).
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Entrando nel merito del servizio giornalistico di Report, si sostiene innanzitutto che la questione dell'inquadramento giuridico, tributario, previdenziale e assicurativo dei lavoratori dello sport dilettantistico è emersa durante la pandemia, quando tantissimi collaboratori di associazioni e società sportive dilettantistiche, costrette ad abbassare le saracinesche e sospendere le attività istituzionali, si sono trovati totalmente sprovvisti di qualsiasi forma di assistenza, tutela e sostegno, al reddito e non solo.
A seguire, nonostante tali soggetti siano stati poi supportati dallo sforzo enorme compiuto dal Dipartimento dello Sport tramite Sport e Salute spa, che ha erogato diverse tranche di bonus, resta in piedi, secondo Report, il problema della qualifica del lavoro svolto tramite contratti di collaborazione, senza copertura previdenziale, assicurativa, senza indennità e diritti.
La questione del corretto inquadramento dei lavoratori nel mondo sportivo dilettantistico non è affatto una questione recente ma ha origini decisamente più lontane nel tempo, rispetto alla drammatica pandemia.
Su tale questione sono tantissimi gli interventi di concerto tra legislatore, Ministero del Lavoro, CONI, enti previdenziali, Ispettorato del Lavoro, Agenzia Entrate, INAIL, oltre ad una vastissima rassegna di pronunce giurisprudenziali da parte di Tribunali del Lavoro, Corti di Appello, Corte di Cassazione, Commissioni Tributarie, e delibere delle Federazioni Sportive e del Consiglio Nazionale CONI[1].
Questa sterminata produzione di provvedimenti legistlativi, documenti di prassi e sentenze manifesta l'attenzione rivolta nei confronti del settore in oggetto, nell'obiettivo di contemperare due esigenze fondamentali:
- da un lato, sostenere la promozione dello sport e quindi riconoscere e garantire importanti agevolazioni a coloro che, a tal fine, prestano il proprio tempo libero per diletto;
- dall'altro, contrastare i fenomeni elusivi o, peggio, evasivi condotti da chi simula e nasconde un mestiere, godendo di benefici non spettanti e distorcendo un intero sistema.
Il settore sportivo dilettantistico è molto ampio ed estremamente diversificato, poichè annovera al suo interno i piccolissimi circoli sportivi di quartiere al fianco di grandi società sportive.
I primi si sostengono spesso solo grazie all'apporto di semplici appassionati, nel tempo libero, i secondi invece hanno bisogno di ingenti investimenti e di personale specializzato full time.
Ciò significa che è estremamente difficile trovare una soluzione che possa adattarsi a realtà così distanti tra loro, che eviti di trasformare la passione in lavoro (svilendola in un certo senso) e, allo stesso tempo, che consenta di far emergere lavoro nascosto.
Se quanto finora descritto può dimostrare quanto sia pesante e datata l'attenzione rivolta nei confronti del lavoro nello sport dilettantistico, di seguito si potrà dimostrare anche il grosso fraintendimento lamentato dai lavoratori intervistati da Report.
Costoro infatti sostengono che l'attuale normativa vigente consente loro di poter usufruire, al massimo, della qualifica di collaboratore, con esenzione da prelievo fiscale sotto una certa soglia, senza contribuzione previdenziale, senza diritti e tutele (ferie, malattia, maternità, TFR, ecc.).
Si tratta di un fraintendimento in quanto la normativa vigente non contempla affatto la figura del lavoratore in ambito sportivo dilettantistico.
Nel senso che è previsto un paradigma diverso, non sinallagmatico, ovvero non fondato sul rapporto prestazione – corrispettivo.
In altre parole, chi opera nello sport dilettantistico, come istruttore, allenatore, dirigente, ecc., non lo fa per professione abituale e come fonte primaria, o unica, di sostegno economico.
Se così fosse, costui dovrebbe essere qualificato come lavoratore subordinato o autonomo, a seconda delle specifiche caratteristiche e modalità di esecuzione della prestazione effettuata.
Solo ai primi, a chi svolge altra professione nella vita, spetta il beneficio fiscale per gli emolumenti percepiti e considerati come redditi diversi da quelli di lavoro autonomo o subordinato[2].
Ai secondi la normativa vigente già concede la possibilità di configurare la propria prestazione come lavoro subordinato o autonomo, mediante assunzione o apertura di partita IVA, con opzione eventuale per regimi forfettari.
La realtà ci dice che moltissimi sodalizi sportivi dilettantistici sono gestiti attraverso modalità imprenditoriali, sotto le mentite spoglie dell'ente associativo non commerciale, per cui devono rispondere a logiche di mercato, che li renderebbero non concorrenziali se dovessero sopportare i maggiori costi di una assunzione, così come sarebbero fuori mercato gli istruttori che dovessero applicare tariffe più elevate a causa della partita IVA e di tutto ciò a questa connesso, rispetto allo status quo (indebito e non corretto).
Come a dire che, purtroppo, anche chi volesse regolarizzare la propria posizione sarebbe costretto a rinunciare a causa della negativa, sleale concorrenza.
Con l'entrata in vigore del Dlgs 36/2021 il prossimo 1/7/2023, non ci dovrebbero essere più fraintendimenti, perchè tale decreto ha radicalmente modificato il paradigma alla base delle prestazioni lavorative in ambito sportivo dilettantistico:
- se sussiste un corrispettivo, allora si configura lavoro subordinato o autonomo;
- se invece il corrispettivo non sussiste, si configura una prestazione amatoriale o volontaria non assimilabile al lavoro.
Ne deriva che dal 1/7/23 l'istruttore sportivo, ad esempio, che percepisce compensi, premi, rimborsi forfettari, indennità e simili, sarà necessariamente qualificato come lavoratore subordinato o autonomo, senza incertezze e dubbi, pur continuando a godere di taluni benefici, agevolazioni e semplificazioni, oltre a tutele e coperture previdenziali e assicurative.
Si elimineranno, si spera, le distorsioni, scontentando, purtroppo, coloro che vedranno la loro passione trasformata in lavoro.
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NOTE
[1]A titolo esemplificativo e non esaustivo Agenzia Entrate: Risoluzione 142/E del 1/10/2001; Circolare 21/E del 22/04/2003; Risoluzione 9 del 25/1/2007; Risoluzione 38/E del 17/5/2010; Risoluzione 106/E del 11/12/2012; Circolare 17/2012; Risoluzione 38/E del 11/4/2014; Circolare 18/E/2018. Enpals: Circolare 18/2009. Ministero del Lavoro: Interpello 22 del 9/6/2010; Circolare 37/4036 del 21/2/2014; Decreti del 15/3/2015. INPS: Circolare 174 del 23/11/2017; Circolare 117/2019. Ispettorato Nazionale del Lavoro: Circolare 1/2016. ANPAL: Circolare 1 del 23/7/2019. L. 289/2002; L. Biagi 2003; DL. 207/2008; L. 14/2009; Jobs Act 2015; Jobs Act lavoro autonomo 2017; L. 96/2017; Legge Bilancio 2018; Decreto Dignità 2018; Decreti Sostegni e Sostegni bis 2021.
[2]Ai sensi dell'articolo 67, comma 1, lettera m) del TUIR: Sono redditi diversi se non costituiscono redditi di capitale ovvero se non sono conseguiti nell'esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente: le indennità di trasferta, i rimborsi forfetari di spesa, i premi e i compensi...quindi, una disposizione di carattere esclusivamente tributaria, che si applica a valle e che non può essere adottata, a monte, per qualificare un rapporto di lavoro.