La Corte di Cassazione nella Ordinanza 5598 del 23 febbraio 2023 ha affermato che le dimissioni di una lavoratrice nel periodo di maternità restano sempre sospese, anche dopo la scadenza del periodo protetto, fino al momento della convalida da parte dell'Ispettorato del lavoro. La tempistica della necessità di convalida è un aspetto molto rilevante che non era stato evidenziato mai prima in modo cosi esplicito.
Il caso riguardava una lavoratrice con rapporto di lavoro dipendente nel settore terziario che aveva dato le dimissioni durante il periodo protetto.
La corte di appello di Roma , in parziale modifica della sentenza di primo grado, ha dichiarato l'inefficacia delle dimissioni in quanto non erano mai state convalidate dai servizi ispettivi del Ministero del lavoro e ha quindi condannato i datori di lavoro al pagamento degli importi delle retribuzioni dal giorno delle dimissioni fino alla data di deposito del ricorso di primo grado,
Il primo giudice aveva invece ritenuto dovute le retribuzioni solo fino alla cessazione del periodo protetto di astensione per maternità fruito dalla interessata.
Nel ricorso in Cassazione della societa si affermava che la inefficacia delle dimissioni non convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro, sarebbe limitata al solo periodo “protetto”, per cui una volta trascorso detto periodo le stesse sarebbero produttive della estinzione del rapporto di lavoro; ma la Cassazione conferma che tale lettura :
- in primo luogo" non è sorretta dal dato testuale in quanto l’art. 55 d. Igs. citato utilizza una formula ampia, di carattere generale, dalla quale non è in alcun modo dato inferire che la necessità della convalida sia destinata a venire meno una volta trascorso il periodo oggetto di particolare protezione";
- In secondo luogo sottolinea che "occorre considerare la specifica ratio che sorregge la disposizione che è quella di salvaguardare la genuinità e la spontaneità della volontà dismissiva espressa dalla lavoratrice o dal lavoratore in un periodo particolarmente delicato, corrispondente alla gravidanza ed al primo anno di vita del bambino, contro eventuali abusi datoriali volti a viziare o condizionare in vario modo la formazione della volontà."
In altri termini, il legislatore ha inteso evitare che la estinzione del rapporto di lavoro fosse solo formalmente riconducibile all’iniziativa del lavoratore o della lavoratrice presumendo che le dimissioni potessero essere iindotte dal datore di lavoro che approfitti di una peculiare situazione psicologica del dipendente. Per questa ragione il legislatore affida ai servizi ispettivi ministeriali la verifica della effettività della volontà di risolvere il rapporto condizionando alla convalida l’efficacia del negozio di recesso.
In quest'ottica diventa evidente, secondo i supremi giudici , "che la specifica finalità antiabusiva perseguita dalla norma in tema di convalida risulterebbe in larga parte vanificata" se la protezione fosse limitata nel tempo cioè ci fosse la possibilità una volta trascorso il periodo protetto di rendere automaticamente efficace il recesso.
Le conclusioni della Cassazione sono particolarmente rilevanti perché comportano in pratica che la lavoratrice dimissionaria nel periodo di maternità, ha diritto alla percezione delle retribuzioni (detratti gli eventuali importi già percepiti) fino al momento della convalida ministeriale.