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SOCIETÀ DI SERVIZI DEL PROFESSIONISTA: INCOMBE L’ABUSO DEL DIRITTO

Società di servizi del professionista: incombe l’abuso del diritto

I rapporti tra professionista e società di servizi, di cui è socio, possono essere oggetto di contestazione se creano un risparmio di imposta e sono privi di sostanza economica

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Il divieto di abuso del diritto viene considerato un principio generale implicito nell’ordinamento tributario, quale divieto di realizzare strutture artificiose, prive di sostanza economica, con il solo obiettivo di conseguire un vantaggio fiscale.

Nel 2006, la Corte di Giustizia UE, con la sentenza Halifax (causa C-255/02), aveva elaborato una prima nozione di abuso del diritto, in base alla quale doveva essere interpretata come contraria al diritto del soggetto passivo la possibilità di effettuare operazioni che, nonostante l’applicazione formale delle norme, siano capaci di produrre un vantaggio fiscale contrario all’obiettivo perseguito dalle stesse norme.

L’ordinamento italiano ha recepito il punto emanando una prima norma in tema di elusione fiscale: l’articolo 37-bis del DPR 600/73, abrogato nel 2015, il quale qualificava come “inopponibili all'amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti”.

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Poi, l’articolo 1 del Decreto Legislativo 128/2015, oggi in vigore, ha introdotto nello Statuto del contribuente l’articolo 10-bis, secondo il quale “configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Tali operazioni non sono opponibili all'amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi”.

La fattispecie giuridica ha un problema di fondo: decidere se una operazione è priva, o meno, di sostanza economica è valutazione che presenta un inevitabile grado di soggettività, lasciata a carico del giudice di merito.

La recente ordinanza numero 23135/2022 della Corte di Cassazione, di recente pubblicazione, tratta di una situazione che interessa i professionisti e che è spesso soggetta a contestazione per abuso del diritto: sono contestati i vantaggi fiscali che possono essere conseguiti da un professionista per effetto dei rapporti economici che possono intercorrere tra questo e una società di servizi di cui è socio.

Nella situazione presa in esame dalla Corte veniva contestata al professionista la deduzione dal reddito di lavoro autonomo dei canoni di locazione finanziaria (in luogo delle quote di ammortamento) di un immobile la cui proprietà era in capo alla società di servizi, riconducibile al professionista.

Sono molte le fattispecie potenzialmente contestabili nella medesima situazione, come ad esempio la locazione al professionista dell’immobile di proprietà della società di servizi, la fatturazione da parte della società di prestazioni che potrebbero essere svolte direttamente dal professionista, o altro.

La motivazione per cui la fattispecie è spesso soggetta a contestazione da parte del fisco è che, attraverso l’utilizzo di una società di servizi, un professionista potrebbe ottenere alcuni vantaggi fiscali derivanti dalle divergenze di trattamento previsti tra redditi d’impresa e di lavoro autonomo.

Secondo l’ordinamento italiano, i vantaggi fiscali derivanti da una siffatta costruzione formale, legittima di per sé, assumono i caratteri dell’illegittimità nel momento in cui sono privi di sostanza economica

Con l’ordinanza 23135/2022, in trattazione, pur cassando nel caso in esame le contestazioni di abuso del diritto a carico del professionista, per il quale sono state considerate valide le ragioni economiche alla base dell’operazione, la Corte di Cassazione chiarisce che “ricorre l'abuso del diritto […] ogni qual volta si sia in presenza di una o più costruzioni di puro artificio che, pur se non contrastanti con alcuna specifica disposizione, sono realizzate al fine di eludere l'imposizione e siano prive di sostanza commerciale ed economica; di talché, per configurare la condotta abusiva è necessaria un'attenta valutazione delle ragioni economiche delle operazioni negoziali che sono poste in essere, in quanto, se le stesse sono giustificabili in termini oggettivi, in base alla pratica comune degli affari, minore o del tutto assente è il rischio della pratica abusiva; se, invece, tali operazioni, pur se effettivamente realizzate, riflettono, attraverso artifici negoziali, assetti di anormalità economica, può verificarsi una ripresa fiscale là dove è possibile individuare una strada fiscalmente più onerosa. In tal senso, la prova dell'elusione deve incentrarsi sulle modalità di manipolazione funzionale degli strumenti giuridici utilizzati, nonché sulla loro mancata conformità ad una normale logica di mercato”, e che “costituisce condotta abusiva l'operazione economica che abbia quale suo elemento predominante ed assorbente lo scopo elusivo del fisco, sicché il divieto di siffatte operazioni non opera ove esse possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi di imposta; la prova del disegno elusivo, nonché delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato ed utilizzati solo per pervenire a quel risultato fiscale, incombe sull'Amministrazione finanziaria”. 

In definitiva, fermo restando che resta in capo all’Amministrazione finanziaria dello Stato l’onere di dimostrare l’esistenza di un progetto elusivo, la cui valutazione spetterà al giudice di merito, i rapporti che intercorrono tra professionista e società di servizi, di cui questo è socio, possono essere ricondotti alla fattispecie abusiva dell’abuso del diritto in tutte le situazioni in cui la struttura organizzativa esistente sia giustificata da valide ragioni economiche e non dal solo obiettivo di creare un guadagno d’imposta.

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