La corte di cassazione modifica i recenti orientamenti in tema di reintegra dopo un licenziamento che non risponda ai requisiti di giusta causa, affermando che il giudice puo punire l'illecito con sanzione conservativa anche laddove tale previsione sia espressa attraverso clausole generali o elastiche nel contratto nazionale di riferimento .La novità nell'ordinanza n.11665 del 11 aprile 2022.
Il caso riguardava il dipendente di una societa di vigilanza con ruolo di comandante delle guardie giurate,che aveva proposto ricorso al Tribunale di Udine al fine di far dichiarare l'illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli nel 2012 per la contestazione disciplinare relativa a tre episodi:
- l'avere, in unaconversazione via chat con una collega, criticato e denigrato i responsabili dell'impresa;
- non aver denunciato l'aggressione con lesioni subita da una guardia giurata durante il servizio;
- l'avere omesso per cinque mesi di segnalare alla Questura di Udine i turni di servizio del personale, come imposto da precise direttive.
II Tribunale di Udine ha dichiarato l'illegittimità del licenziamento per difetto di giusta causa e condannato la società . al pagamento di una
indennità risarcitoria pari a venti mensilità, ai sensi dell'art. 18, comma 5 della legge 30 maggio 1970, come modificato dalla legge 28 giugno 2012 n. 92.
Il giudice di opposizione invece ha condannato la societa a reintegrare il dipendente applicando il comma 4 dello stesso art. 18 .
In secondo grado la Corte d'appello di Trieste, ha parzialmente accolto il ricorso della societa ed ha dichiarato risolto il rapporto di lavoro condannando la società al pagamento dell'indennità risarcitoria, ai sensi dell'art. 18 comma 5 cit.
I giudici di appello accertavano l'irrilevanza disciplinare della prima contestazione e il "minimo rilievo" disciplinare delle altre due, per cui sulla base delle previsioni del contratto collettivo applicato nel caso concreto - il c.c.n.l. per i dipendenti degli istituti di vigilanza privata - ed in particolare dell'art. 101, hanno evidenziato che quelle descritte dalla norma collettiva fossero "ipotesi formulate in modo assai generico ed indefinito" . Sulla base della norma che richiede per la reintegra nel posto di lavoro che il fatto contestato ed accertato sia espressamente contemplato dal CCNL, ha applicato solo la tutela indennitaria.
La Cassazione è di diverso avviso e cassa la sentenza affermando , come detto che anche se la previsione contrattuale è generica il giudice
" è demandato di interpretare la fonte negoziale e verificare la sussimibilità del fatto contestato nella previsione collettiva anche attraverso una valutazione di maggiore o minore gravità della condotta".
Precisa inoltre he tale operazione di intepretazione è compatibile con lo spirito dell’articolo 18, comma 4, dello statuto dei lavoratori da cui «non si evince…alcun ragionevole richiamo ad una tipizzazione specifica e rigida delle singole fattispecie». Quindi, anche senza il richiamo ad una clausola specifica contrattuale diventa praticabile l'opzione della reintegrazione nel posto di lavoro.