Nell' ordinanza 4404/2022 del 10 febbraio, la Cassazione afferma che il rifiuto al trasferimento costituisce giusta causa di licenziamento se viola il principio della buona fede e della correttezza da parte del lavoratore, anche se risulta che il trasferimento stesso è illegittimo.
Il caso ha una storia giudiziaria molto complessa ed era già stato trattato in Cassazione nel 2017. Trae origine dall'impugnazione del licenziamento di un lavoratore che dopo il trasferimento imporsto per chiusura della unità produttiva in cui prestava servizio, aveva rifiutato di raggiungere la nuova sede di lavoro.
Il Tribunale di Potenza aveva respinto il ricorso mentre la Corte di Appello di Potenza, dichiarando illegittimo il trasferimento e il conseguente licenziamento aveva intimato al datore di lavoro di reintegrare il dipendente.
In particolare la corte territoriale aveva giudicato illegittimo il licenziamento " perche' il datore di lavoro non si era comportato secondo buona fede e correttezza nella gestione delle conseguenze che erano derivate dalla soppressione della unita' organizzativa di appartenenza," quindi il rifiuto del lavoratore era giustificato e non si realizzava la giusta causa di licenziamento.
La causa giungeva quindi al terzo grado di giudizio dove , con sentenza n. 28791 del 2017 la Corte di Cassazione ha accolto i primi due motivi del ricorso principale della societa, con rinvio alla Corte di Appello di Potenza.
La prima sentenza di cassazione affermava infatti che la sentenza impugnata "non si era uniformata al principio consolidato secondo cui il controllo giurisdizionale delle comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive che legittimano il trasferimento del lavoratore subordinato deve essere diretto ad accertare che vi sia corrispondenza tra il provvedimento adottato dal datore di lavoro e le finalita' tipiche dell'impresa e non puo' essere dilatato fino a comprendere il merito della scelta operata dall'imprenditore"
Secondo gli ermellini la Corte di merito, nel ritenere illegittimo il trasferimento e il licenziamento aveva errato perche "era ricorsa ad argomenti che andavano a sindacare le scelte organizzative dell'imprenditore".
La nuova sentenza della corte di Appello di Potenza, n. 207 del 14 febbraio 2020, in sede di rinvio, ha quindi respinto l'appello del lavoratore evidenziando che " non poteva essere messa in dubbio "la sussistenza della riorganizzazione aziendale posta a base del mutamento della sede lavorativa imposto", in quanto c'era un "riscontro positivo circa la veridicita' della misura organizzativa formalmente esistente alla base del trasferimento del lavoratore";
Viene inoltre rimarcato che anche in caso di trasferimento adottato in violazione dell'articolo 2103 c.c., il lavoratore non è legittimato a rifiutarsi di eseguire la prestazione lavorativa ma deve attendere eventualmente una disposizone del giudice. In ogni caso il lavoratore è tenuto a un comportamento improntato alla buona fede con l'effettiva disponibilita' a prestare servizio presso la sede originaria
Nello specifico il Collegio ha, quindi, ritenuto che la condotta renitente del lavoratore risultante agli atti provasse che il rifiuto del trasferimento era stato utilizzato "come arma per vincere le resistenze datoriali nell'ambito di una trattativa economica",e non fosse conforme a correttezza e buona fede .
a sentenza di appello concludeva quindi che il rifiuto opposto dal lavoratore era illegittimo e sussisteva una giusta causa di licenziamento;
Le conclusioni della Cassazione
La nuova sentenza della Suprema Corte consolida l'orientamento già espresso nella prima pronuncia. Viene confermata la validità di questa ultima decisione della giurisprudenza di merito sia dal punto di vista formale che per l'applicazione dei principi normativi fondamentali che sottolinea l'obbligo di correttezza e buona fede nel rapporto di lavoro, oltre che l'insindacabilità delle scelte organizzative imprenditoriali .