L’articolo 1236 del Codice civile stabilisce che “la dichiarazione del creditore di rimettere il debito estingue l'obbligazione quando è comunicata al debitore salvo che questi dichiari in un congruo termine di non volerne approfittare”; siamo davanti alla fattispecie della rinuncia al credito o della remissione del debito, che costituisce un atto unilaterale realizzativo.
Quando le parti interessate sono privati cittadini (non operatori economici), l’atto in questione è priva di implicazioni fiscali a causa della sua neutralità; diversa è la situazione nel caso in cui il creditore sia un operatore economico, perché la fattispecie può costituire una posta fiscalmente deducibile che, però, sarà necessario valutare con attenzione per evitare possibili contestazioni.
La remissione del debito costituisce un atto che estingue il debito, e questo è certo, ma la natura della motivazione che sta alla base di questa decisione qualifica fiscalmente la posta contabile, che può risultare deducibile o meno.
Se, infatti, lo stralcio di un credito è dovuto, ad esempio, all’antieconomicità del suo suo recupero, la relativa perdita, rilevata contabilmente, rappresenterà una perdita su crediti, che è potenzialmente deducibile; diversamente, se alla base della decisione c’è la volontà di agevolare il debitore, per qualsivoglia motivo, la remissione del debito costituirà un atto di liberalità, che non è fiscalmente deducibile.
Il fatto che una perdita derivante da un atto unilaterale di rinuncia al credito possa rappresentare un atto di liberalità indeducibile, è una situazione di cui si è occupata l’Agenzia delle Entrate nel lontano 2013 con la Circolare 26/E; e questa rappresenta la motivazione per cui lo stralcio di un credito per essere dedotto deve essere verificato, valutato e supportato da idonea documentazione.
La normativa fiscale sul tema prevede infatti che una perdita su crediti, per essere deducibile, debba avere come causa l’inesigibilità del credito sottostante e che questa debba essere supportata da elementi certi e precisi che la dimostrino.
Il fondamento giuridico della normativa fiscale sul tema è rappresentato dal comma 5 dell’articolo 101 del TUIR, il quale ne disciplina concetto e adempimento.
Dato che la valutazione dell’esistenza degli elementi certi e precisi che dimostrino l’inesigibilità di un credito può sembrare una valutazione opinabile, il Legislatore ha deciso di optare per una impostazione su due binari.
Quando un credito può essere considerato di modesto importo (in base alle definizioni contenute nello stesso comma 5 dell’articolo 101 del TUIR), gli elementi certi e precisi possono essere considerati presuntivamente esistenti, senza dover fornire documentazione a supporto.
Diversamente, le perdite derivanti dallo stralcio di un credito che non può essere considerato di modesto importo, presuppongono una valutazione della situazione, la verifica della potenziale deducibilità, e richiedono documentazione a supporto dell’esistenza di quegli elementi certi e precisi che definiscono l’inesigibilità del credito, e che rappresentano il fondamento giuridico della deducibilità della perdita.
Tecnicamente sono tre i gruppi di situazioni che possono ragionevolmente dimostrare l’inesigibilità del credito:
- il fatto che il debitore sia assoggettato a procedure concorsuali;
- il fatto che il debitore sia estinto, deceduto, o irreperibile;
- il fatto che le azioni esecutive per il recupero del credito siano risultate infruttuose.
In queste situazioni, basterà conservare documentazione a supporto di queste circostanze per dimostrare che il credito è inesigibile, e che, di conseguenza, la sua remissione costituisce una perdita su crediti fiscalmente deducibile e non un atto di liberalità indeducibile.
Per una approfondimento sulla tematica si rimanda agli agli articoli: