Quando, in sede di accertamento, l’amministrazione finanziaria ricostruisce i ricavi di vendita in base alla percentuale di ricarico applicata al costo del venduto, punto particolarmente sensibile della questione è costituito appunto dalla determinazione di tale valore.
A questo fine viene effettuata la verifica delle rimanenze di magazzino, al fine di accertare che le giacenze effettive coincidano con quelle contabilizzate.
Quando il valore contabile risulta superiore a quello effettivo, i beni che costituiscono la differenza vengono considerati ceduti in nero, con conseguente riporto a tassazione ai fini delle imposte dirette e indirette, in base al comma 1 dell’articolo 1 del DPR441/1997, il quale stabilisce che “si presumono ceduti i beni acquistati, importati o prodotti che non si trovano nei luoghi in cui il contribuente svolge le proprie operazioni, né in quelli dei suoi rappresentanti”.
Il successivo comma 2 del medesimo articolo 1 del DPR 441/1997 stabilisce anche i limiti di tale presunzione, la quale ha assume forma concreta solo se il contribuente non riesce a dimostrare che tali beni:
- “sono stati impiegati per la produzione, perduti o distrutti”;
- “sono stati consegnati a terzi in lavorazione, deposito, comodato o in dipendenza di contratti estimatori, di contratti di opera, appalto, trasporto, mandato, commissione o di altro titolo non traslativo della proprietà”.
L’ordinanza 26232 della Corte di Cassazione, pubblicata il 28 settembre 2021, si occupa della delicata questione della “distruzione” delle rimanenze di magazzino.
A prescindere dalla motivazione che abbia causato la distruzione o indotto il contribuente a distruggere tali beni, che non rileva ai fini del calcolo dei valori imponibili, il comma 2 dell’articolo 1 del DPR 441/1997, attraverso l’utilizzo dell’espressione “se è dimostrato”, grava il contribuente dell’onere di dimostrare l’effettiva distruzione.
Al fine della dimostrazione della distruzione volontaria, il contribuente, come regola generale, sarà obbligato ad attenersi alle specifiche procedure previste dal comma 4 dell’articolo 2 del DPR 441/1997, le quali contemplano lo smaltimento diretto dei beni interessati, che deve passare attraverso la comunicazione preventiva all’Agenzia delle Entrate e la verbalizzazione delle operazioni di distruzione (tramite pubblico ufficiale o comunicazione sostitutiva d’atto notorio, se l’importo non eccede i diecimila euro).
In alternativa però, precisa la Corte di Cassazione, “nel caso in cui l'impresa non provveda direttamente alla distruzione dei beni, ma li consegni agli appositi soggetti autorizzati ai sensi delle vigenti leggi sullo smaltimento dei rifiuti, la prova di distruzione dei beni, non deve essere fornita con la procedura descritta [...], ma è data semplicemente dall'annotazione sul formulario di identificazione previsto dall'articolo 15 del Decreto Legislativo numero 22/1997”.
Quindi, quando il contribuente decide invece di avvalersi di un terzo (che deve essere un soggetto autorizzato allo smaltimento dei rifiuti) per lo smaltimento delle giacenze, ai fini della dimostrazione della loro effettiva distruzione, ci dice la Corte di Cassazione, è sufficiente esibire il formulario di identificazione dei rifiuti, quel documento che, in base al comma dell’articolo 15 del Decreto Legislativo 22/1997, deve presentare: il nome e l’indirizzo del produttore dei rifiuti da smaltire, l’origine la tipologia e la quantità dei rifiuti, l’impianto di destinazione, la data e il percorso di instradamento, il nome l’indirizzo del destinatario.
Così la Corte di Cassazione ha emanato il seguente principio di diritto: “in tema di imposte dirette, con riferimento alla presunzione di cessione di cui agli articoli 1 e 2 DPR numero 441/1997, i contribuenti, che necessitano di avviare a distruzione i propri beni, possono procedere all'operazione mediante consegna dei beni stessi a soggetti autorizzati all'esercizio di tali operazioni in conto terzi, ai sensi delle vigenti leggi sullo smaltimento dei rifiuti; in tal caso l'avvio a distruzione è dimostrato mediante il formulario di identificazione rifiuti di cui all'articolo 15 del Decreto Legislativo 5/2/1997 n. 22 e successive modificazioni, contenente le indicazioni specifiche richieste dalle prescrizioni che […] sono tassative”.
Quindi, in considerazione dell’analiticità delle informazioni certificate sul formulario di identificazione dei rifiuti, la Corte stabilisce un principio di equivalenza tra questo documento e la procedura ordinariamente prevista per la distruzione dei beni in giacenza, ai fini del superamento della presunzione di cessione.