L’accordo transattivo ed è un contratto tipico disciplinato dall'articolo 1965 del Codice civile, il quale definisce la transazione come “il contratto con il quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine a una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro”.
L’argomento è di recente saltato alla ribalta delle cronache fiscali in conseguenza delle numerose risposte a interpello pubblicate dall’Agenzia delle Entrate sul tema.
Il punto in discussione non è la transazione come contratto, ma l’assoggettamento a IVA delle prestazioni da questo previste: secondo l’interpretazione assunta dall’Agenzia, quell’obbligo di fare o di non fare che è insito nell’accordo transattivo, cioè di non proseguire le azioni legali avviate e di non iniziarne di nuove, sarebbe esso stesso una prestazione di servizi da assoggettare a IVA; in conseguenza di ciò, sarebbero da sottoporre all’imposta tutti i corrispettivi derivanti dalla transazione.
Prima dell’interpretazione estensiva assunta dall’Agenzia delle Entrate, l’orientamento prevalente era quello di valutare caso per caso gli obblighi scaturenti dall’accordo transattivo, e, in base alla loro natura, assoggettarli o meno all’imposta.
Ad esempio l’assunzione, dietro corrispettivo, di uno specifico obbligo di fare o di non fare sarebbe stato sottoposto a IVA, il risarcimento di un danno quantificabile invece no.
In tale contesto interpretativo, la clausola contrattuale in base alla quale le parti si impegnano a non proseguire le azioni legali avviate e di non iniziarne di nuove, che è presente nella quasi totalità degli accordi transattivi, in quanto funzionale a realizzare la conclusione della disputa, che è il perno logico della transazione, non costituisce l’oggetto del contratto.
L’interpretazione dell’Agenzia, diversamente, eleva questa clausola a oggetto del contratto e assoggetta a IVA il risultato di qualsiasi transazione.
Sul tema è intervenuta Assonime, pubblicando, il 9 settembre 2021, la sua Circolare numero 26, denominata “Imposta sul valore aggiunto – Prestazioni di servizi derivanti da accordi transattivi”, con la quale l’Associazione mette in evidenza che “l’orientamento espresso dalle ultime risposte dell’Agenzia si presta a considerazioni critiche, almeno nei termini assoluti con i quali viene enunciato”.
Assonime conviene che la valutazione caso per caso presenta delle difficoltà, in quanto la valutazione di situazioni diversificate, e a volte anche complesse, può facilmente creare dubbi e lasciare perplessità sull’assoggettamento ad IVA delle prestazioni oggetto della transazione, ma ritiene anche che “tale difficoltà, tuttavia, non potrebbe essere superata attraverso soluzioni semplificatorie che fanno riferimento […] a presunti obblighi di fare o non fare legati all’attivazione o prosecuzione di azioni giudiziarie”.
Secondo l’Associazione, il limite della posizione assunta dall’Agenzia delle Entrate si sostanzia nel fatto che “la disciplina dell’IVA non può avere l’effetto di creare artificiosamente delle prestazioni di servizi, ma deve necessariamente restare ancorata ai beni e ai servizi che per loro natura sono suscettibili di uno scambio e, quindi, di entrare nella catena produttiva e distributiva dei beni e dei servizi da assoggettare all’imposizione sui consumi”.
Tra l’altro, si preme precisare, l’automatico assoggettamento a IVA di tutti i corrispettivi derivanti da transazione avrebbe come effetto l’abbattimento della neutralità fiscale tra accordo transattivo e soluzione contenziosa delle controversie, rendendo l’istituto della transazione antieconomico per tutti coloro che non detraggono l’imposta.
In conseguenza di ciò, nota sempre Assonime, “le parti di una controversia sarebbero indotte a preferire comunque una soluzione contenziosa anche quando un accordo preventivo sarebbe possibile”, fatto che, inserito in un contesto nel quale il legislatore cerca di snellire il processo civile, anche attraverso l’incentivazione a trovare soluzioni stragiudiziali, costituisce una posizione antistorica.