Disciplinato dal Codice civile nel contesto generale del lavoro autonomo e in quello specifico delle professioni intellettuali, il compenso dell’avvocato è oggetto di particolare attenzione da parte del legislatore: al comma 3 dell’articolo 2233 del Codice civile, si stabilisce infatti che “sono nulli, se non redatti in forma scritta, i patti conclusi tra gli avvocati e i praticanti abilitati con i loro clienti che stabiliscono i compensi professionali”.
Sul tema, però, il legislatore non si è limitato a sancire ciò, ma, con il comma 2 dell’articolo 13 della Legge 247/2012 (la “Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense”), stabilisce anche che “il compenso spettante al professionista è pattuito di regola per iscritto all'atto del conferimento dell'incarico professionale”.
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In discussione è come si relazionano tra loro le due norme, in quanto, secondo una linea di pensiero, la seconda norma dovrebbe implicitamente abrogare la prima, in quando l’espressione “di regola” indicherebbe una preferibilità e non un obbligo.
Di diverso avviso è la Corte di Cassazione che, con l’ordinanza numero 24213 del 08 settembre 2021, appronta la corretta interpretazione sul come le due norme si debbano relazionare, osservando che “se il legislatore avesse avesse realmente voluto far venir meno il requisito della forma scritta per simili pattuizioni, è ragionevole ritenere che avrebbe provveduto ad abrogare esplicitamente la previsione contenuta nel terzo comma dell'articolo 2233 Codice civile, il quale commina espressamente la sanzione della nullità per quei patti che siano privi del requisito formale ivi prescritto”.
Quindi, in base a quanto enunciato dalla Corte, è convivendo che le due norme, insieme, delineano i principi che gli avvocati devono seguire per tutelare il loro diritto alla percezione del compenso professionale, in quanto le due disposizioni non sono incompatibili.
A questo scopo, infatti, il comma 2 dell’articolo 13 della Legge 247/2012 stabilisce quando deve essere stipulato il patto tra cliente e legale, e il comma 3 dell’articolo 2233 del Codice civile stabilisce la forma in cui deve essere redatto. Quindi: il patto che stabilisce il compenso professionale tra cliente e avvocato deve essere redatto per iscritto al momento di conferimento dell’incarico.
Poiché dalla mancanza della forma scritta discende la nullità del patto stesso, la Corte di Cassazione, precisa anche che:
- “la scrittura non può essere sostituita da mezzi probatori diversi […] neanche la confessione”;
- “la prova testimoniale è ammissibile nella sola ipotesi […] di perdita incolpevole del documento”.