Prima della riforma del diritto societario, quando la Società a responsabilità limitata configurava, di fatto, una ipotesi di mini Società per azioni, il problema dell’inquadramento contributivo dei soci non costituiva un nodo giuridico particolarmente sensibile, come non lo è neanche oggi quello dei soci di Società per azioni.
Con la riforma del diritto societario e la conseguente personalizzazione della Società a responsabilità limitata, che diviene un ibrido tra società di persone e società di capitali, il corretto inquadramento contributivo dei soci diviene più incerto.
Il perno della questione contributiva è figlia dell’inquadramento reddituale, da cui discende la discussione sulle conseguenze previdenziali.
Gli utili derivanti dalla partecipazione a una società di capitali, come regola generale, costituiscono redditi di capitale, ex articolo 44 TUIR.
Diversamente, i redditi derivanti dall’esercizio di una impresa commerciale costituiscono redditi di impresa, ex articolo 55 TUIR.
I redditi di impresa impongono la copertura previdenziale IVS, acronimo di Invalidità Vecchiaia Superstiti, e il conseguente versamento dei contributi all’Inps; ipotesi non prevista per gli utili derivanti dalla mera partecipazione, senza apporto di lavoro, in una società di capitali, dato che i redditi di capitale non sono soggetti a obbligo di copertura previdenziale.
La prassi, per il caso specifico della Società a responsabilità limitata, aveva costruito un meccanismo interpretativo basato su una duplicità di inquadramento dei redditi percepiti dal socio, come redditi di capitale o redditi di impresa, a seconda della sua situazione personale.
La tendenza è stata quella di avanzare una serie di ipotesi o presunzioni, che non richiedevano dimostrazione, al realizzarsi delle quali la posizione del socio veniva considerata automaticamente produttiva di redditi di impresa; ma oggi, grazie alle numerose sentenze della Corte di Cassazione di diverso avviso, questa impostazione è stata (parzialmente) superata, come dimostra la recente circolare 84/2021 dell’Inps; in questo modo il perimetro dell’obbligo contributivo si è di molto ristretto e definito con maggiore chiarezza.
Tutti i soci di una Società a responsabilità limitata apportano capitale nella società, ma, a prescindere da questo fatto, un socio può anche partecipare al lavoro in azienda (a titolo gratuito o meno), può amministrarla, oppure no; in considerazione di ciò, a soli fini del corretto inquadramento previdenziale, è possibile distinguere tra:
- socio lavoratore;
- socio amministratore;
- socio di capitale.
L’inquadramento previdenziale, oggi, può conseguire da questa differenziazione.
Il socio di capitale, colui che non partecipa al lavoro e non amministra, con il nuovo orientamento della prassi, figlia del consolidato orientamento giurisprudenziale, percepisce redditi di capitale; e, in considerazione di ciò, non è soggetto a obbligo contributivo.
Il socio amministratore, per il solo fatto che amministra la società, veniva considerato dall’Inps apportatore di lavoro; ma oggi la questione è radicalmente cambiata, dato che una recente ordinanza della Corte di Cassazione (per un approfondimento si veda l’articolo Amministratori e soci di SRL: non più dovuti i contributi commercianti) ha rigettato il sillogismo che per amministrare è necessario svolgere attività lavorativa; motivo per cui, il socio amministratore che si limita alle mansioni tipiche dell’amministrazione aziendale non è soggetto a obbligo contributivo, essendo assimilabile al socio di capitale, e quindi percettore di redditi di capitale.
Ovviamente, per il suo eventuale compenso come amministratore, costui sarà obbligato all’iscrizione alla gestione separata, come lavoratore autonomo, ex articolo 53 TUIR.
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L’ultimo caso è quello del socio lavoratore: quel socio, amministratore o no, che svolge attività lavorativa in azienda, con carattere di abitualità e prevalenza; una situazione del genere potrebbe essere più correttamente inquadrata in una delle fattispecie lavoristiche tipicizzate, ma la prassi comunque permette tale inquadramento, da cui discende la produzione di reddito di impresa e il conseguente assoggettamento ad obbligo contributivo.
Oggi sono superate le principali presunzioni di partecipazione al lavoro aziendale che in passato avevano caratterizzato l’orientamento di prassi, limitando la fattispecie a quei casi in cui il lavoro è effettivamente svolto, con carattere di abitualità e prevalenza.
La questione, che, con tutta evidenza, grazie all’indirizzo giurisprudenziale, sta evolvendo in maniera diversa rispetto alla tradizionale interpretazione di prassi, non è ancora del tutto stabilizzata e alcuni punti sono ancora in discussione, quale ad esempio se la partecipazione al lavoro aziendale, in talune situazioni, si può presumere o debba essere dimostrato.