Le imposte sui redditi, in conseguenza del meccanismo degli acconti e dei saldi, in un determinato anno possono risultare dalla dichiarazione dei redditi a debito o a credito; durante la vita dell’azienda, le imposte a credito, si rinnovano confluendo nell’annualità successiva grazie al meccanismo della compensazione verticale.
Quando però il contribuente cessa l’attività, il riporto a nuovo non è possibile (con le dovute eccezioni), e, a meno che l’impresa non possa utilizzare questi crediti per compensare orizzontalmente i debiti di altre imposte, sarà necessario trasmettere istanza di rimborso all’Agenzia delle Entrate per richiederne liquidazione.
L’ordinanza della Corte di Cassazione numero 2416 del 03 febbraio 2021 si occupa di questa situazione, con particolare riferimento ai termini di prescrizione del diritto al rimborso dei crediti relativi alle imposte sui redditi, in relazione ai quali si riepilogano in modo organico le sensibilità più rilevanti.
Che il diritto al rimborso delle imposte sui redditi soggiaccia al termine prescrizionale ordinario decennale, è ormai fatto accertato e non discusso; non ugualmente pacifica è la discussione sulle modalità di conteggio dei termini e su come questo termine si relazioni con il termine di decadenza del potere d’accertamento.
La Corte puntualizza che, avendo il contribuente evidenziato in dichiarazione un credito di imposte sui redditi, non occorrendo la presentazione di una diversa apposita istanza, la domanda di rimborso dovrà considerarsi presentata con la compilazione dell’apposito quadro della dichiarazione dei redditi e la conseguente trasmissione telematica; motivo per cui i termini di prescrizione decorrono dal giorno di presentazione dell’istanza, che coincidono con quelli di trasmissione del modello dichiarativo.
Questione diversa, ma collegata e non secondaria, è il rapporto di relazione esistente tra la prescrizione del credito e la decadenza dei termini per l’attività di controllo.
L’Agenzia delle Entrate ha la facoltà di procedere con l’accertamento e il controllo della dichiarazione dei redditi del contribuente, potere che è però sottoposto al termine di decadenza quinquennale.
Una linea di pensiero minoritaria vorrebbe fare decorrere i termini prescrizionali per il rimborso del credito a partire dallo spirare del termine entro il quale l’Agenzia possa procedere ad accertamento o rettifica; con l’ordinanza in trattazione, la Corte puntualizza la “non condivisibilità” di questa tesi, che deriverebbe da una impropria sovrapposizione di due istituti che si collocano su piani diversi e separati; notando come, tra l’altro, una siffatta sovrapposizione rappresenterebbe un ostacolo di quattro anni alla possibilità del contribuente di far valere il proprio diritto al rimborso, che invece è esercitabile trascorsi 90 giorni dalla trasmissione dell’istanza nel silenzio dell’Agenzia delle Entrate.
L’ordinanza si conclude con la puntualizzazione, sempre attuale, sul fatto che la decadenza dei termini di accertamento, nel silenzio dell’Agenzia, avviene nei termini quinquennali, ma riguarda solo i debiti di imposta del contribuente e non anche i suoi crediti di imposta, in relazione ai quali l’ufficio può, senza limiti di tempo, contestare il credito richiesto a rimborso anche nel caso in cui siano già scaduti i termini per l’accertamento.
In questa situazione l’Agenzia delle Entrate potrà quindi richiedere al contribuente idonea documentazione a comprova dell’esistenza del credito di imposta, il quale non si potrà considerare consolidato per il solo fatto che siano trascorsi i termini decadenziali, ed eventualmente disconoscere il credito chiesto a rimborso; ma non potrà utilizzare la documentazione fornita per effettuare un accertamento e contestare al contribuente una maggiore imposta, dato che, in relazione a ciò, i termini sono decaduti.