Le sanzioni previste dall’ordinamento italiano (nella sua eccezione più ampia di normativa, giurisprudenza e prassi) per il caso dell’IVA erroneamente applicata in fattura stanno alimentando un ampio dibattito anche in relazione alla loro possibile incompatibilità con uno dei principi basilari dell’ordinamento europeo, quello della proporzionalità.
Il punto è ormai ampiamente conosciuto, e chi ancora non lo conoscesse può leggere l'approfondimento IVA applicata per errore in fattura: operazioni imponibili, non imponibili ed esenti.
In breve, la Corte di Cassazione, con la sentenza numero 24289 del 3 novembre 2020, interpretando estensivamente l’articolo 6 comma 6 del Decreto Legislativo 471/97 stabiliva:
- in caso di IVA erroneamente addebitata per operazioni non imponibili, l’esclusione del diritto alla detrazione dell’imposta e l’applicazione della sanzione amministrativa proporzionale pari al 90% della detrazione illegittimamente compiuta;
- in caso di IVA erroneamente addebitata su operazioni imponibili utilizzando una aliquota maggiore di quella invece dovuta, la possibilità di effettuare la detrazione dell’imposta, ma applicando la sanzione amministrativa fissa che va da 250 euro a 10 mila euro.
Successivamente l’Agenzia delle Entrate, con la Risoluzione numero 51/E del 3 agosto 2021, ha recepito la decisione della Corte ampliando, per non ovvia assimilazione, il perimetro dell’indetraibilità e della sanzione proporzionale anche alle operazioni esenti.
Il perno della questione, che la rende così sensibile agli occhi degli operatori, è il fatto che il soggetto che commette l’errore in fattura e il soggetto destinatario delle sanzioni non sono il medesimo contribuente: l’errore è commesso dal cedente ma colui che è soggetto alle sanzioni è il cessionario, in quanto è costui che effettua una detrazione illegittima dell’IVA.
L’applicazione dell’IVA ad operazioni esenti o non imponibili, nel contesto di cessioni intra-gruppo, a fronte della detrazione totale dell’IVA, avrebbe come conseguenza un danno erariale costituito dal recupero del costo rappresentato dal pro-rata di detraibilità.
Ma, e qui sta il problema, le situazioni prese in considerazione dalla giurisprudenza e dalla prassi, sono le ben diverse fattispecie in cui non si viene a configurare né un danno erariale né una frode fiscale, nelle quali l’errore non arreca un vantaggio fiscale al contribuente, ma alle quale in Italia si applicano sanzioni proporzionali pari al 90% dell’imposta indebitamente detratta.
Molto spesso si dimentica che uno dei principi fondamentali della Costituzione dell’Unione Europea è il principio di proporzionalità; in virtù del quale una sanzione irrogata deve essere commisurata alla gravità della violazione e del comportamento del contribuente, al fine di mantenere un equilibrio tra punizione e colpa.
È senza dubbio vero che il compito di stabilire concretamente la misura della sanzione in funzione della gravità della violazione è affidato ai giudici nazionali, ma è anche vero che l’IVA è una imposta armonizzata e che il 15 aprile 2021 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in occasione della causa numero C-935/19, si è espressa in modo molto distante dall’interpretazione assunta dalla giurisprudenza nazionale italiana.
La sentenza prendeva in considerazione proprio la fattispecie della cessione di un bene esente dall’IVA, a cui era stata applicata l’imposta da parte del cedente, successivamente detratta dal cessionario: la Corte di Giustizia ha stabilito che una sanzione fissa del 20% dell’IVA indebitamente detratta, fuori da un contesto di frode e di danno erariale, costituisce una violazione del principio di proporzionalità. E se lo è una siffatta sanzione, non può non può esserlo anche quella prevista in Italia, per una situazione analoga, dato che è di molto più gravosa per il contribuente.
Sarà necessario notare che l’impianto sanzionatorio oggi in vigore in Italia soffre di un problema di legittimità legato alle tempistiche della sua costruzione: esso si fonda su una interpretazione restrittiva assunta legittimamente dalla Corte di Cassazione, la quale, però, è antecedente alla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, per cui non ha potuto tenerne conto, mentre la Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate (che recepisce acriticamente la posizione della Corte di Cassazione) è di molto posteriore e quindi, diversamente, non ha voluto tenerne conto.
Con ogni probabilità, oggi, la questione in esame costituisce un nodo non ancora sciolto, dovendosi attendere una interpretazione di legittimità che tenga conto del punto di vista della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.