I soggetti passivi che non siano consumatori finali possono detrarre l’Imposta sul Valore Aggiunto sugli acquisti; tuttavia questa regola generale ha numerose eccezioni, che si concretizzano nella limitazione della detraibilità dell’IVA a monte, con modalità analitiche o forfetarie, a seconda delle specifiche situazioni.
Il meccanismo del pro-rata di detraibilità stabilisce le modalità forfetarie di determinazione della percentuale dell’IVA indetraibile sugli acquisti, in funzione del rapporto tra operazioni imponibili (o a queste assimilate) e operazioni esenti, che non danno diritto alla detrazione, effettuate dal contribuente.
Con la recente Sentenza numero 20435 del 19 luglio 2021, la Corte di Cassazione si occupa, per la prima volta, della deducibilità dal reddito d’impresa dell’IVA indetraibile da pro-rata.
Il centro della questione è il suo trattamento in caso di beni strumentali: l’Agenzia delle Entrate ne richiede la capitalizzazione, quale componente accessoria di costo, insieme al cespite; di diverso avviso avviso è invece la Corte di Cassazione.
Partendo dalla constatazione che il primo comma dell’articolo 99 del Tuir stabilisce che le imposte diverse dalle imposte sui redditi sono deducibili nell’esercizio in cui ne avviene il pagamento, e rilevando come, ai fini civilistici, il principio contabile OIC 12 stabilisca che l’IVA indetraibile (se non costituisce costo accessorio di acquisto di beni o servizi) vada iscritta in Conto economico in B.14 tra gli Oneri diversi di gestione, la Corte di Cassazione riconosce che “l’IVA indetraibile da pro-rata, che sia o meno al 100%, comunque deve considerarsi un costo generale dell’esercizio” e puntualizza che “la percentuale di indetraibilità intesa come costo complessivo ai fini delle imposte dirette non può essere imputato al singolo bene cui si riferisce l’operazione esente/imponibile, bensì alle attività medesime nel loro complesso”.
Per cui, alla luce di ciò, la Suprema Corte emana il seguente principio di diritto: “l’IVA indetraibile per effetto del pro-rata generale di cui all’articolo 19, quinto comma, DPR 633/1972 è deducibile per cassa nell’anno del pagamento quale componente negativo del reddito di impresa”.
Quindi, in contrasto con l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate, la Corte di Cassazione, quale fonte superiore di diritto, stabilisce che l’IVA indetraibile da pro-rata si debba considerare un costo generale dell’esercizio, deducibile secondo il criterio della cassa nell’anno dell’avvenuto pagamento.
L’interpretazione della Corte si configura come un anello di congiunzione tra la normativa civilistica, in tema di rilevazione del costo, e quella fiscale, in tema di deduzione delle imposte diverse da quelle sui redditi, e sul piano del diritto è condivisibile.
Ciò non toglie che il principio di diritto così emanato, in talune situazioni, potrebbe creare delle difficoltà tecniche. Il problema è che l’IVA indetraibile da pro-rata è rilevata sul Bilancio d’esercizio, in B14 tra gli Oneri diversi di gestione, secondo il principio della competenza. Motivo per cui sarà necessario quantificare, in base agli effettivi pagamenti effettuati, l’ammontare deducibile della relativa voce di costo civilistico, ed effettuare le conseguenti variazioni fiscali; operazioni questa che, a seconda della complessità dell’attività del contribuente, può rivelarsi di un certo livello di complessità.
Tuttavia, grazie alla sofisticazione raggiunta oggi dai più moderni software per professionisti, è presumibile pensare che questi si adegueranno, elaborando la contabilità in base ai pagamenti effettuati, in modo tale da prevedere una elaborazione civilistica e una elaborazione fiscale della medesima voce di costo.
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