Si elimina il requisito della trattazione di 5 affari in un anno per accertare lo svolgimento della professione forense in modo abituale continuativo e prevalente. Lo afferma il Consiglio di stato nel parere depositato il 9 giugno, in questo senso favorevole alla modifica del DM 47 2016, attuativo della riforma della professione forense - Legge 247 2012.
Infrazione delle direttive UE e Modifica del DM 47 2016 sulla professione forense
La modifica era stata proposta dal Ministero della giustizia , malgrado il parere contrario del Consiglio nazionale forense, a seguito della procedura di infrazione n.2018/2175 indirizzata all'Italia dall’Unione europea.
La segnalazione di "Non conformità delle misure di attuazione della direttiva 2005/36/CE" affermava infatti che “una prescrizione secondo la quale l’unico modo di provare tale livello di attività sia dimostrare di aver trattato cinque affari (di natura giudiziale) per ciascun anno e solo in Italia limiterebbe indubbiamente la flessibilità necessaria agli avvocati di dimostrare l’esercizio effettivo della professione, tenuto conto della molteplicità di àmbiti professionali disponibili sia in Italia sia in altri Stati membri dell’UE, in cui gli avvocati potrebbero prestare i loro servizi in modo temporaneo o permanente nell’esercizio dei diritti loro conferiti dalle direttive 77/246/CEE e 98/5/CE. La severità delle conseguenze derivanti dal mancato rispetto di tali prescrizioni ne aumenterebbe inoltre gli effetti sproporzionati” .
Nel documento il Consiglio ricorda che per risolvere le criticità rilevate dalla Commissione, erano state proposte più soluzioni normative con il limite dei casi da trattare portato a quattro, e la modifica dell’ampiezza dell’oggetto (consulenza, arbitrato, mediazione, negoziazione assistita, transizione, recupero crediti), e consentendo all’avvocato di dimostrare in ogni modo la continuità della prestazione.
Nonostante tali argomentazioni, la Commissione Europea ha ritenuto che la questione non fosse risolta: “la Commissione osserva che, in ogni caso, l’obbligo per gli avvocati di dimostrare ogni anno di aver trattato almeno cinque affari non è giustificato dall’obiettivo invocato dalle autorità italiane, ossia garantire l’effettivo e corretto esercizio della professione, e non può comunque essere considerato proporzionato all’obiettivo perseguito. Un avvocato può infatti decidere di sospendere o di limitare sensibilmente l’esercizio della professione per un determinato periodo di tempio per vari motivi, ad esempio in caso di malattia o per prestare assistenza a un familiare senza che tale decisione debba incidere sulla sua competenza di avvocato abilitato all’esercizio della professione".
I requisiti per l'esercizio continuativo della professione forense
Il Consiglio osserva anche che , alla luce dei dati riportati dai Consigli degli Ordini locali, la norma oggetto di censura di fatto non risulta applicata, dato che non risultano casi di cancellazione dall’albo per tale motivazione.
Inoltre si sottolinea che "lo scopo ultimo della norma di cui all’articolo 2 del D.M. n. 47/2016 è comunque garantito dagi altri requisiti" elencati nello stesso comma, necessari congiuntamente che sono:
- la titolarità di partita IVA,
- l’uso di locali e di almeno una utenza telefonica destinata all’attività professionale,
- la titolarità di un indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al Consiglio dell’Ordine, l
- l’assolvimento dell’obbligo di aggiornamento professionale secondo le modalità stabilite dal Consiglio nazionale forense,
- una polizza assicurativa a copertura della responsabilità civile derivante dall’esercizio della professione.
La Sezione del Consiglio di stato conclude quindi con il parere favorevole allo schema di modifica del decreto che cancella l'obbligo, senza peraltro incidere dal punto di vista finanziario sul bilancio dello stato, al fine di dare seguito ad un impegno assunto in sede europea.