Le risoluzioni consensuali non si conteggiano nel numero complessivo che prevede l'obbligo di procedura sindacale per licenziamento collettivo.
Lo afferma la Cassazione in una sentenza che ribalta l'orientamento recente , che era supportato anche dalla Corte di giustizia europea. Si aggiunge cosi un ulteriore elemento di incertezza e complicazione in una stagione in cui i licenziamenti collettivi stanno per tornare purtroppo molto attuali . Vediamo meglio di seguito:
- il contenuto nella nuova sentenza sulle risoluzioni consensuali non conteggiate ai fini del licenziamento collettivo e
- l confronto con la precedente decisione per cui la risoluzione consensuale motivata da cambiamenti organizzativi nel lavoro rientra nella casistica del licenziamento collettivo
Licenziamenti dopo riorganizzazione - Cassazione n. 15401 del 20 luglio 2020
Questo giudizio riguardava un lavoratore licenziato per giustificato motivo oggettivo per una riorganizzazione della realtà aziendale , il quale che ne aveva contestato la natura solo verbale e la natura ritorsiva
Sia il Tribunale che la Corte di Appello di Milano avevano rigettato il ricorso del lavoratore avendo verificato l'effettiva esigenza economica dell'azienda nella riorganizzazione e esternalizzazione delle mansioni e anche l'impossibilità di repechage in altre posizioni lavorative.
La Suprema Corte respinge le motivazioni legate a questo aspetto mentre accoglie la contestazione del ricorrente sul fatto che il recesso è illegittimo in quanto non rispettoso della procedura di licenziamento collettivo . Nel sesto motivo di ricorso il lavoratore aveva infatti segnalato che nello stesso periodo si era verificato il caso di dimissioni di una collega per mancata accettazione del trasferimento che rientra tra le fattispecie che devono essere conteggiate per la definizione di procedura collettiva , per cui in azienda erano stati raggiunti i limiti di 5 licenziamenti in 120 giorni che fanno scattare specifiche regole procedurali, non rispettate però dall'azienda.
La Cassazione afferma infatti che " alla luce di una corretta interpretazione dell'articolo 1, paragrafo 1, primo comma,lettera a) della Direttiva 98/59/CE del Consiglio del 20 luglio 1998 rientra nella nozione di «licenziamento» il fatto che un datore di lavoro proceda, unilateralmente e a svantaggio del lavoratore, ad una modifica sostanziale degli elementi essenziali del contratto, per ragioni non inerenti alla persona del lavoratore stesso, da cui consegua la cessazione del contratto di lavoro, anche su richiesta dal lavoratore medesimo (Corte di Giustizia UE 11 novembre 2015 in causa C-422/14, p.ti da 50 a 54)". Per questo motivo, dice la Cassazione accogliendo il ricorso, la Corte territoriale ha violato il superiore principio di diritto nell'escludere la rilevanza, ai fini del computo dei lavoratori determinanti la configurabilità di un licenziamento collettivo, di "alcune ... risoluzioni consensuali" derivanti "dalla mancata accettazione di un trasferimento" .
Risoluzione consensuale - Cassazione n. 15118 2021
Nella sentenza n. 15118/2021 la Cassazione afferma invece che non costituiscono licenziamento collettivo i 5 recessi conclusi con la risoluzione consensuale raggiunta in sede protetta, a seguito di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo
Il caso riguardava una dipendente assunta prima del Jobs act 2015 soggetta quindi all'articolo 7 della legge 604/1966, che richiede in caso di licenziamento economico, l'obbligo di un tentativo di conciliazione presso l'Ispettorato territoriale del lavoro.
La lavoratrice contestava le pretese ragioni oggettive addotte dalla societa per il suo licenziamento e affermava che nello stesso periodo inferiore a 120 giorni si erano verificate molte altre risoluzioni consensuali e licenziamenti per cui sarebbe stata necesaria l'attivazione di una procedura di licenziamento collettivo.
Il suo ricorso veniva respinto dal tribunale mentre la Corte d'appello di Trieste, qualificava il licenziamento come licenziamento collettivo ed accertava l'illegittima omissione della procedura di cui all'art. 24, co.1 quinquies L. n. 223\91. La s.p.a.era stata condannata a pagare alla lavoratrice un'indennità pari a 18 mensilità dell'ultima retribuzione globale quantificata in Euro 150.080,76 lordi, piu le spese del doppio grado di giudizio
L'azienda si appellava in cassazione affermando che nell'arco di 120 giorni sarebbero avvenuti non già dei licenziamenti ma solo delle dichiarazioni dell'intenzione di licenziare ex art.7 L.n.604\66.
La Cassazione sorprendentemente accoglie il ricorso riconoscendo che l'intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo al fine dì intraprendere la nuova procedura di compensazione (o conciliazione) dinanzi alla DTL, non può ritenersi di per sé un licenziamento.
Inoltre fornisce la propria interpretazione della Direttiva 98/59/CE del Consiglio del 20 luglio 1998 (in materia di licenziamenti collettivi) affermando che nel numero minimo di cinque licenziamenti, ivi considerato come sufficiente ad integrare l'ipotesi del licenziamento collettivo, non possono includersi altre differenti ipotesi risolutorie del rapporto di lavoro, ancorché riferibili all'iniziativa del datore di lavoro (Cass. n.15401\20, Cass. n. 1334\07).
Un tale giudizio è in totale contrapposizione con quanto sostiene il ministero del Lavoro per il quale , se vengono attivate più di 4 istanze di conciliazione secondo l'articolo 7 legge 604/66 si rientra nella procedura di licenziamento collettivo con relativi obblighi di informativa e accordo con le rappresentanze sindacali