La Corte dei conti, nel Rapporto 2021 sul coordinamento della finanza pubblica, documento di recentissima pubblicazione, torna a occuparsi (tra le altre cose) della riforma fiscale, e lo fa proponendo qualcosa, in effetti, di diverso rispetto alle più semplici proposte di rimodulazione delle aliquote, per lo più avanzate finora.
Nel citato Rapporto, la Corte nota come, oggi, l’Irpef non abbia più le caratteristiche di imposta onnicomprensiva personale e progressiva che aveva nella sua elaborazione teorica originaria, dato l’odierno ampio utilizzo, da parte del legislatore, di forme alternative di imposizione diretta.
Secondo la Corte, il ritorno a una tassazione onnicomprensiva, o il definitivo allontanamento da essa, verso un sistema di tassazione duale, “sarà inevitabilmente segnato dalla scelta di quali obiettivi si vorranno privilegiare”.
Pur rilevando, sul documento, che con un sistema duale “si confermerebbe […] la violazione dell’equità orizzontale, già presente nell’attuale ordinamento”, anche la stessa Corte nutre perplessità sull’effettiva percorribilità della strada di una riforma fiscale che riconduca allo stato originario dell’onnicomprensibilità dell’Irpef. La motivazione è d’ordine pratico, in quanto l’imposizione diretta si è progressivamente spostata verso forme sostitutive d’imposta, non per rispondere a scelte politiche, ma a causa dell’incapacità del sistema di risolvere un contesto caratterizzato da elevata evasione, spesso polverizzata.
Del resto la Corte stessa nota come “non possono trascurarsi gli obiettivi strategici rappresentati da un lato dal contrasto all’evasione (che rimane a tutt’oggi il più rilevante vulnus all’equità orizzontale e verticale) e dall’altro dal processo di semplificazione, sia per ciò che riguarda la base imponibile, le aliquote e le innumerevoli spese fiscali presenti, sia per gli aspetti procedimentali, quali dichiarazioni, versamenti, rimborsi e, in generale, tutto ciò che attiene al rapporto con il contribuente”. Osservazione condivisibile in quanto rappresentativa di una realtà, caratterizzata da un sistema fiscale troppo complesso ma anche troppo poco efficiente.
Alla luce di ciò, la Corte dei Conti, nel prosieguo del Rapporto, avanza anche una proposta concreta: “sarà dunque necessario guardare all’efficienza e all’equità del sistema tributario nel suo complesso, ipotizzando varie forme di ricomposizione del contributo dei prelievi diretti e indiretti alla copertura del bilancio, tra le quali adeguata attenzione potrebbe essere riservata ad un parziale spostamento del prelievo dall’Irpef all’Iva”.
Il concetto è semplice ma con implicazioni complesse: al di là delle scelte che il legislatore vorrà effettuare, in tema di onnicomprensività dell’Irpef, ai fini di migliorare l’efficienza del gettito la Corte propone di rimodulare l’imposizione diretta, spostando una parte del prelievo fiscale dall’Irpef all’Iva.
Per rispondere all’esigenza di efficienza del gettito, una ipotesi consisterebbe nel ridurre il numero di aliquote dell’Iva, accorpando quelle del 4 e del 10 per cento in una nuova del 7,5 per cento. Mentre, se si volesse aumentare l’entità del gettito (per ridurre quello derivante dalle imposte dirette), si potrebbe valutare l’ipotesi di aumentare di un punto percentuale l’attuale aliquota del 22 per cento, anche considerando che “incremento di gettito più consistenti potrebbero ottenersi accompagnando alla riduzione del numero delle aliquote la riallocazione dei beni tra le diverse aliquote”.
Il meccanismo, da un punto di vista pratico, ha una logica di fondo, perché inserito in un contesto, come quello italiano, caratterizzato da una elevata evasione. Qualche attrito, però, può essere rilevato in considerazione del fatto che è nozione di scuola come la porzione di reddito che una persona utilizza per i consumi diminuisca all’aumentare del reddito stesso. E una rimodulazione del gettito così strutturata, risponderà all’esigenza di migliorare la sua efficienza, ma, se non adeguatamente calmierata dal riequilibrio redistributivo, non risponderà all’esigenza di abbassare quel carico fiscale che, oggi, grava eccessivamente sul ceto medio.