Nel corso dell’ultimo anno si sono succedute alcune sentenze della Corte di Cassazione sul tema della corretta interpretazione del comma 3 dell’articolo 6 del DPR 633/72, il quale stabilisce che, ai fini IVA, “le prestazioni di servizi si considerano effettuate all'atto del pagamento del corrispettivo”.
Le questioni sotto osservazione sono due: il momento in cui l’IVA diventa esigibile e il momento in cui sorge l’obbligo di fatturazione, nel caso specifico della prestazione di servizi.
Prima del 2020 sulla questione si è discusso poco. La chiarezza formale del disposto normativo permette una lettura letterale, in base alla quale si può presumere che entrambi questi obblighi scaturiscano nel momento in cui si riceva il pagamento del corrispettivo.
Bisogna premettere che in tema d’IVA la normativa italiana non rappresenta altro che l’atto di recepimento delle direttive europee, essendo l’IVA una imposta armonizzata; e talune sue specificità, come questa, sono possibili solo come deroghe ammesse dalle direttive stesse, cosa che ad ogni effetto è il comma 3 dell’articolo 6 del DPR 633/72.
La Direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, quella attualmente in vigore, ma sul punto di contenuto analogo alla precedente, ci dice che, in caso di effettuazione di prestazione di servizi, il fatto generatore dell’imposta e l’esigibilità di questa si concretizzano nel momento in cui la prestazione di servizi è effettuata, ma l’esigibilità può essere spostata, dagli Stati, fino al momento del pagamento. Scelta che il legislatore italiano ha fatto per tutte le prestazioni di servizi, con una vecchia sentenza della della Corte di giustizia europea del 26 ottobre 1995 (causa C144/94), che confermava la liceità della deroga generalizzata attuata dall’Italia in sede di recepimento della direttiva originaria.
Qualcuno potrebbe pensare che sul tema ci sarebbe poco da dire, ma, a partire dal 2020, l’interpretazione corretta del comma 3 dell’articolo 6 del DPR 633/72 è in discussione in Cassazione, con un orientamento che non appare consolidato.
Il perno della questione è che, se è vero che l’esigibilità si realizza al momento del pagamento del corrispettivo, il fatto generatore dell’imposta però rimane l’espletamento del servizio.
L’interpretazione dei giudici di legittimità talvolta è di stampo più letterale, come nel caso della sentenza 1468/2020, altre volte più elastico, come nel caso dell’ordinanza 26650/2020; la recente sentenza numero 9064 del 1 aprile 2021 sembra assumere, invece, una posizione di mediazione tra interpretazioni tendenti alla divergenza.
La sentenza 9064/2021, sulla questione, prima ribadisce che “l’orientamento secondo il quale le prestazioni di servizi si considerano effettuate soltanto all'atto del relativo pagamento, cosicché prima di tale momento non sussiste alcun obbligo, ma solo la facoltà di emettere fattura, non è allineato alle sezioni unite e alla giurisprudenza unionale”, di fatto chiudendo la porta alla lettura più letterale della norma; ma al contempo mette un limite alle più elastiche interpretazioni stabilendo un principio di diritto in base al quale il “fatto generatore dell'obbligazione tributaria, che comporta l'obbligo di fatturazione, in caso di prestazione di servizi è costituito dalla materiale esecuzione della prestazione, laddove il pagamento del corrispettivo identifica esclusivamente il momento di esigibilità dell'imposta, ossia quello di riscossione, nonché […] il termine per l'adempimento dell'obbligo di emettere la fattura".
Si stabilisce quindi, in coerenza con la base normativa europea, che il fatto generatore dell’imposta sia l’effettuazione della prestazione dei servizi, dalla quale sorge l’obbligazione tributaria e l’obbligo di emettere fattura; ma l’imposta diventerà effettivamente esigibile nel momento in cui avverrà il pagamento, e l’obbligo di emettere fattura potrà essere rimandato fino al medesimo momento.
Questa posizione interpretativa dei giudici di legittimità sembra rappresentare una mediazione tra letture più definite. E se è vero che per la generalità dei casi questa posizione può rappresentare una diversa interpretazione di diritto senza implicazioni pratiche, rispetto all’interpretazione più letterale della norma, per alcuni casi specifici le implicazioni pratiche possono invece esserci, come fa notare la stessa Corte, come in caso di procedura fallimentare: ad esempio, in questo caso, con questa lettura del disposto normativo, secondo la Corte è da escludere che “il pagamento e la conseguente fatturazione avvenuti in corso di procedura della prestazione di un professionista che sia stata svolta prima della procedura comporti la qualificazione come debito di massa del credito di rivalsa dell’IVA”.