Nell’ambito dei redditi da lavoro dipendente, in base alla lettera d-bis) del comma 1 dell’articolo 10 del TUIR, nel caso in cui il lavoratore restituisca al soggetto erogante una somma precedentemente indebitamente erogata ed assoggettata a tassazione, tale restituzione rappresenterà un onere deducibile per il lavoratore nell’anno fiscale di restituzione o nei successivi in caso d’incapienza.
La norma non lo prescrive espressamente, ma il fatto che le somme restituite rappresentino un onere deducibile per il lavoratore, ha portato alla condivisibile determinazione di prassi che le somme dovessero essere restituite al lordo delle ritenute subite.
Questo meccanismo spesso si scontra nella pratica contro la volontà del percettore di restituire delle somme non effettivamente percepite, le ritenute, e nella giurisprudenza contro un prevalente orientamento che mette in discussione la legittimità della pretesa della restituzione di somme mai entrate effettivamente nella sfera patrimoniale del percettore.
Con l’articolo 150 del DL 34/2020, il cosiddetto decreto Rilancio, il legislatore è intervenuto sul problema aggiungendo il comma 2-bis all’articolo 10 del TUIR, per effetto del quale le medesime somme di cui alla lettera d-bis del comma 1, quelle precedentemente indebitamente erogate e assoggettate a tassazione, possono essere restituite al netto delle ritenute subite. In questo caso, per il lavoratore gli importi restituiti non rappresenteranno un onere deducibile, mentre al sostituto di imposta spetterà un credito di imposta del 30% delle somme ricevute, forfetariamente calcolato in base alle ritenute operate sul primo scaglione di reddito Irpef del 23%, utilizzabile in compensazione senza limite di importo per le restituzioni effettuate dal 1 gennaio 2020.
Recentemente Assonime è intervenuta sull’argomento, a cui ha dedicato la circolare 13/2021, sulla quale mette in evidenza alcune criticità del disposto normativo; la principale e più sensibile si basa sulla constatazione che la norma, prevedendo un credito di imposta forfetario del 30%, non permette il recupero integrale, per il sostituto d’imposta, delle ritenute operate in caso di applicazione di un’aliquota superiore al 23%.
Dato che il meccanismo di calcolo previsto, in un caso del genere, porterebbe ad un ingiustificato arricchimento dell’Erario, secondo Assonime dovrebbe ritenersi sempre possibile, per il sostituto, recuperare le ritenute effettivamente versate, ipotizzando la possibilità, per la parte che eccede la somma recuperabile tramite credito di imposta, di trasmettere una istanza di rimborso all’Agenzia delle Entrate.
La soluzione proposta, per quanto condivisibile nei limiti delle considerazioni che vi sono alla base, non è però supportata né dal disposto normativo né dall’interpretazione di prassi.
Per contro, si noterà che il disposto normativo che ha introdotto il comma 2-bis sull’articolo 10 del TUIR non ha però abrogato la lettera d-bis del comma 1 del medesimo articolo, che dispone l’alternativa modalità di restituzione al lordo delle ritenute; motivo per cui, può sembrare lecito ipotizzare che le due modalità di riversamento previste dal legislatore, al lordo e al netto delle ritenute, debbano essere considerate come delle alternative tra le quali il lavoratore e il sostituto d’imposta possano scegliere, con accordo tra le parti, potendo effettuare una valutazione di ordine pratico ma anche di convenienza fiscale.
Da alcune risposte ad interpello, la prassi sembra orientata ad avvallare questa linea d’interpretazione e anche Assonime, nella medesima circolare prima citata, ammette che potrebbe rappresentare una adeguata soluzione fiscale al problema esposto.