Il ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, ha reso noto, con comunicato stampa datato 30 aprile 2021, la firma del decreto che stabilisce criteri e limiti delle attività diverse esercitabili dagli enti del Terzo settore.
Enti di terzo settore. Le attività di interesse generale e le attività diverse
Al riguardo si ricorda che gli enti di Terzo settore sono tenuti a svolgere in via esclusiva e principale le attività di interesse generale elencate nell’art. 5 del Codice del Terzo settore (D.lgs. n. 117/20217); lo svolgimento di tali attività deve essere ovviamente finalizzato al perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale.
Si tratta di un elenco non tassativo ma aggiornabile mediante decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze (e previa intesa in sede di Conferenza Unificata, acquisito il parere delle Commissioni parlamentari competenti).
Gli ETS possono inoltre svolgere attività diverse, come disciplinato dal successivo art. 6 del citato Codice a condizione che l’atto costitutivo o lo statuto lo consentano. Tali attività devono, inoltre, risultare secondarie e strumentali rispetto alle attività di interesse generale e vanno svolte nel rispetto dei criteri e limiti stabiliti, appunto, nel decreto del Ministro del lavoro, recentemente emanato.
Sintesi del contenuto del decreto ministeriale
Il Decreto definisce i due tratti caratterizzanti delle attività diverse: la strumentalità e la secondarietà.
In particolare, le attività diverse sono considerate strumentali quando sono finalizzate a supportare, sostenere, promuovere o agevolare il perseguimento delle finalità istituzionali dell’ente del Terzo settore.
La secondarietà, invece, ricorre in una delle seguenti ipotesi:
- i ricavi da attività diverse non sono superiori al 30% delle entrate complessive dell’ente del Terzo settore
- i ricavi da attività diverse non sono superiori al 66% dei costi complessivi dell’ente del Terzo settore.
A tal fine, occorre tenere conto dell’insieme delle risorse, anche volontarie e gratuite, impiegate in tali attività in rapporto all’insieme delle risorse, anche volontarie e gratuite, impiegate nelle attività di interesse generale.
L’ente del Terzo settore può scegliere uno dei due criteri, che dovrà poi essere indicato nella relazione di missione o in un’annotazione in calce al rendiconto per cassa.
Siamo quindi in presenza di criteri alternativi ed è sufficiente il rispetto di uno dei due affinché lo svolgimento delle predette attività diverse, che sostanzialmente è finalizzato all’auto-finanziamento dell’ente, sia considerato legittimo.
Criteri per definire la non commercialità. Art. 79 Codice del Terzo settore
In riferimento alle attività di interesse generale, si ricorda che i parametri per la valutazione della non commercialità si ritrovano indicati nell’art. 79 del Codice di Terzo settore.
Nello specifico, le attività di interesse generale di cui all’articolo 5, si considerano di natura non commerciale quando sono svolte a titolo gratuito o dietro versamento di corrispettivi che non superano i costi effettivi, tenuto anche conto degli apporti economici degli enti di cui sopra e salvo eventuali importi di partecipazione alla spesa previsti dall’ordinamento.
Inoltre, tali attività si considerano non commerciali qualora i ricavi non superino di oltre il 5 per cento i relativi costi per ciascun periodo d’imposta e per non oltre due periodi d’imposta consecutivi.