La Cassazione afferma che non è necessaria e la maggioranza dei componenti della RSU per indire validamente una assemblea sindacale retribuita. Ciò in virtù degli artt. 4 e 5 dell'Accordo interconfederale del 10 gennaio 2014 (T.U. sulla Rappresentanza) che fa rientrare tale diritto (art. 20 della Legge n. 300/1970) tra le prerogative attribuite non solo alla RSU considerata collegialmente, ma anche a ciascun componente della RSU stessa. Resta fermo che tale componente deve essere dotato di rappresentatività all'interno dell'azienda
Questo in sintesi il contenuto della Ordinanza n. 815 del 21 gennaio 2021, con cui gli ermellini hanno respinto il ricorso aziendale e sconfessato le decisioni del tribunale e della corte di appello di Torino.
Nello specifico il caso riguardava il ricorso per condotta antisindacale presentato da un componente RSU facente capo alla FIOM CGIL a fronte del rifiuto della azienda di concedere l'autorizzazione per l'assemblea con la motivazione che non era stata richiesta dalla maggioranza delle RSU-RSA aziendali bensi da una sola delle sigle.
Le sentenze di merito richiamavano l'accordo interconfederale 2014 che richiede per le decisioni inserite nella sfera di attribuzione della Rsu, un'approvazione maggioritaria.
La Cassazione non respinge questa lettura ma procede a una importante distinzione affermando che la regola della maggioranza è certamente "criterio di espressione del principio democratico nel momento decisionale” ma la possibilità di indire l'assemblea non comporta una decisione vincolante nei confronti degli altri membri. Costituisce quindi un diritto sindacale esercitabile sia congiuntamente che individualmente. La posizione è già stata ribadita dalla suprema Corte riguardo agli articoli dell'accordo interconfederale sulla rappresentanza del 1993 e, come richiesto dal sindacato nel ricorso, può essere validamente applicato in modo estensivo anche alle previsioni dell'accordo sulla rappresentanza del 2014.