L’articolo 30-ter del DPR 633/72, il cosiddetto Testo Unico IVA, disciplina il rimborso dell’Imposta sul Valore Aggiunto erroneamente o indebitamente versata dal soggetto passivo, la cui restituzione, in base al comma 3 del medesimo articolo, è da escludere solo “qualora il versamento sia avvenuto in un contesto di frode fiscale”, nel caso in cui non è più possibile utilizzare legittimamente in detrazione il credito IVA spettante.
La norma in oggetto prevede, per questi casi, che il soggetto passivo che abbia erroneamente versato l’imposta, per ottenere il rimborso, debba presentare una specifica domanda di restituzione entro il termine di due anni dalla data del versamento o, se successivo, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione. Trascorso il termine dei due anni, il diritto al rimborso sarà da considerarsi decaduto, in base all’articolo 30-ter del DPR 633/72.
Quindi, il Legislatore italiano, ai fini di tale rimborso, prescrive un termine di decadenza e richiede la presentazione di una domanda, ma non prevede la corresponsione di interessi passivi.
Sul tema, il 23 aprile 2020 è arrivata una importante sentenza della Corte di Giustizia UE (cause riunite C-13/18 e C-126/18), la quale stabilisce alcuni principi che, a prescindere dalla normativa italiana, non potranno comunque essere ignorati dall’amministrazione finanziaria dello Stato, in quanto l’IVA è una imposta armonizzata che deve essere applicata in maniera uniforme all’interno dell’Unione Europea, motivo per cui una sentenza della Corte di Giustizia UE, su una tale questione, apre le porte alle pretese dei contribuenti, anche italiani.
Nello specifico, la sentenza in oggetto, prendendo in esame proprio due casi in cui un credito IVA, a cui il contribuente aveva diritto, non era stato rimborsato entro un termine ragionevole, arriva a importanti conclusioni in tema di interessi di mora.
La Corte di Giustizia UE, in linea generale, stabilisce che le condizioni previste per ottenere il rimborso non possano essere costruite in maniera tale da renderlo impossibile nella pratica, e che il contribuente debba essere risarcito, in maniera adeguata, del costo idealmente sostenuto per il fatto di non aver potuto disporre di una disponibilità finanziaria a cui aveva diritto; entrando nello specifico, la corte stabilisce che:
- il diritto a tale rimborso può essere sottoposto a prescrizione quinquennale dalle legislazioni dei singoli Stati;
- le stesse possano prevedere l’obbligo ad presentare una specifica domanda per ottenere i rimborso;
- l’amministrazione finanziaria dello Stato interessato applichi dei congrui interessi di mora a partire da 30-45 giorni dopo la data di presentazione della domanda di rimborso, termine considerato sufficiente dalla corte per la verifica della legittimità della richiesta;
- l’ammontare di detti interessi di mora, per poter essere considerati adeguati, non possano prevedere un tasso di interesse inferiore a quello che un contribuente dovrebbe sostenere per prendere in prestito una tale somma da un ente creditizio.
Alla luce delle ordinarie tempistiche italiane per ottenere un rimborso IVA e della sentenza della Corte di Giustizia UE, che prescrive un interesse di mora ad un tasso congruo, i contribuenti interessati, alla luce di questo intervento giurisprudenziale, avranno la possibilità di attivarsi per ottenere un adeguato risarcimento.