Con la Sentenza 27963 pubblicata il 7 dicembre 2020, la Corte di Cassazione (civile) interviene, in modo chiaro e inequivocabile, su una questione che a lungo ha alimentato il contenzioso.
Il fatto all’origine della sentenza è la contestazione, ad una società, di un maggior imponibile IVA, rispetto all’importo esposto in dichiarazione, come risultante dalle scritture contabili del contribuente; al quale, di conseguenza sono state irrogate le sanzioni previste per l’infedele dichiarazione. Una volta definitiva la contestazione, per la medesima violazione, l’Agenzia delle Entrate, contestava anche l’omesso versamento, applicando le relative sanzioni su un ammontare di imposta che il contribuente, ovviamente, non ha versato non avendolo dichiarato.
La Corte di Cassazione entra nel merito della questione, chiarendo il perimetro dell’infedele dichiarazione e dell’omesso versamento, fattispecie che, seppur comuni, non sono affatto banali, specie quando al contribuente viene irrogata una seconda sanzione in dipendenza della prima, per la medesima infrazione.
La sentenza è in tema di IVA, ma può essere, senza dubbio, estesa per analogia anche alle imposte sui redditi e all’Irap.
La corte chiarisce che con l’articolo 5 (e si potrebbe aggiungere l’articolo 1, per le imposte sui redditi) del Decreto Legislativo 471/1997 viene punito il caso in cui il contribuente, in sede di dichiarazione, dichiari una imposta inferiore a quella effettivamente dovuta: è il caso dell’infedele dichiarazione, che assorbe anche quello di omessa dichiarazione.
Invece l’articolo 13, del medesimo decreto legislativo, punisce solo i casi in cui non venga versato all’erario l’imposta dovuta, ma che risulta esposta in dichiarazione.
Per maggior precisione, la Corte di Cassazione ci dice che “laddove il mancato versamento […] sia diretta conseguenza della omessa indicazione nella dichiarazione dell’importo dell’imposta effettivamente dovuto, tale comportamento integra dichiarazione infedele, per la quale è prevista la sanzione ben più grave di cui all’articolo 5 Decreto Legislativo 471 del 1997, che copre non solo la violazione formale dell’infedele dichiarazione, […] ma anche il conseguente ed inevitabile mancato versamento dell’imposta effettivamente dovuta”.
Quindi, in definitiva, dichiarare un importo d’imposta, inferiore a quella effettivamente dovuta e, di conseguenza, non versarla, rientra nella fattispecie di infedele dichiarazione (o di omessa, se non presentata), punita con le sanzioni previste dall’articolo 1 (per Redditi e Irap) e dall’articolo 5 (per IVA) del Decreto Legislativo 471/1997.
Il caso, alternativo, in cui il contribuente dichiari il corretto debito di imposta, ma non lo versi effettivamente, rappresenta invece la fattispecie di omesso versamento, punito con le sanzioni previste dall’articolo 13 del medesimo Decreto Legislativo 471/1997.
Quindi, in base alla sopra indicata sentenza della Corte di Cassazione, si può dire che vige un principio di alternatività (e di non cumulabilità) tra le due fattispecie, essendo la seconda (l’omesso versamento) implicitamente incorporata alla prima (l’infedele dichiarazione), che è ben più grave, nel momento in cui questa viene accertata.