L’invalidità permanente non comporta automaticamente il danno da lucro cessante: questa la conclusione della Corte di Cassazione, nella Sentenza n. 12632 del 5 giugno 2020. I giudici infatti ha negato il riconoscimento del danno da lucro cessante ad un dipendente rimasto invalido al 20% durante lo svolgimento dell’attività lavorativa.
L' infortunio sofferto dal lavoratore consisteva nella folgorazione durante il montaggio di un traliccio elettrico per il quale il primo giudice aveva liquidato a favore del ricorrente, la somma di euro 72.118,87 a titolo di danno non patrimoniale, e di euro 236.421,43 a titolo di danno patrimoniale, per la nìmenomazione della capacità di lavoro del 100%, a carico della società datrice di lavoro e della compagni di assicurazioni, oltre alle spese di giudizio.
Invece la Corte distrettuale, in parziale riforma condannava la parte datoriale al pagamento della somma di euro 84.395,84 solo a titolo di danno patrimoniale, nonchè alla rifusione delle spese di prime cure in favore del lavoratore che liquidava in euro 12.750,00, compensando integralmente quelle del giudizio di gravame.
La Corte distrettuale aveva infatti osservato che la liquidazione del danno patrimoniale derivante dalla menomazione della capacità di lavoro specifica, andava ridimensionata. Era stato chiarito che i postumi permanenti riportati dal dipendente erano incompatibili con l'attività svolta in passato ma non con altre tipologie di lavoro possibili per il futuro.
La Suprema Corte ha confermato la sentenza giudicandola "conforme ai consolidati dicta di questa Corte secondo cui qualora, invece, alla riduzione della capacità lavorativa generica si associ una riduzione della capacità lavorativa specifica che, a sua volta, dia luogo ad una riduzione della capacità di guadagno, detta diminuzione della produzione di reddito integra un danno patrimoniale. Ne consegue che non può farsi discendere in modo automatico dall'invalidità permanente la presunzione del danno da lucro cessante, derivando esso solo da quella invalidità che abbia prodotto una riduzione della capacità lavorativa specifica.
Tale danno patrimoniale deve essere accertato in concreto attraverso la dimostrazione che il soggetto leso svolgesse - o presumibilmente in futuro avrebbe svolto - un'attività lavorativa produttiva di reddito, ed inoltre attraverso la prova della mancanza di persistenza, dopo l'infortunio, di una capacità generica di attendere ad altri lavori, confacenti alle attitudini e condizioni personali ed ambientali dell'infortunato, ed altrimenti idonei alla produzione dì altre fonti di reddito, in luogo di quelle perse o ridotte Cass., 18/4/2003, n. 6291, Cass. 12/2/2015 n. 2758); e detta prova, in base alle risultanze dell'elaborato peritale recepite dalla impugnata sentenza, risulta
allegata entro il limite del 20%, in relazione al quale è stato modulato il procedimento di liquidazione del danno elaborato dalla Corte di merito".
In sostanza si valuta quindi l’invalidità sopraggiunta non ha causato al lavoratore una riduzione della capacità lavorativa assoluta , in quanto egli è ancora in grado di svolgere altre attività con le quali garantirsi fonti di reddito idonee a sostituire quelle perse del tutto o parzialmente ridotte.