L’attività di accertamento bancario fondato sulle movimentazioni dei conti correnti cointestati è pienamente legittimo. Ciò è quanto affermato dalla Corte di Cassazione, nella recentissima pronuncia n. 1298 del 22 gennaio 2020.
Tale principio risulta già consolidato nella giurisprudenza di legittimità, soprattutto considerando che numerose pronunce si sono spinte ben oltre, ammettendo lo svolgimento di indagini da parte degli Uffici finanziari su conti di terzi non destinatari dell’accertamento (quali parenti o conviventi) aventi uno stretto rapporto con l’indagato (cfr. tra le altre, Cass. 22089 e Cass. 22093 del 2018).
E’ stata infatti affermata la presunzione secondo la quale, i movimenti bancari operati su C/C di soggetti legati al contribuente possano essere associati a quest’ultimo che, conseguentemente, può subire un accertamento per maggior reddito rispetto a quello dichiarato, salvo che lo stesso non fornisca la prova contraria.
In particolare, nel caso posto all’attenzione della Corte un architetto subiva degli accertamenti su conti correnti cointestati, vedendosi rideterminato il proprio reddito professionale per l’anno di imposta 2004.
Seppur i dati bancari prima del 2004 valevano come prova solo con riferimento ai percettori di reddito d'impresa e non dei liberi professionisti (si ricorda infatti che l’art. 32 del Dpr n. 600 del 1973, è stato novellato nel 2004 con legge n. 311), la Corte ha comunque ritenuto la legittimità degli stessi a fondare l’accertamento nei confronti dell’architetto.
Le decisioni dei giudici di merito, favorevoli al contribuente sono state quindi riviste dal giudice di legittimità che ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, stabilendo che sono legittime le indagini finanziarie in caso di conto corrente cointestato con un soggetto terzo, posto che il rapporto di cointestazione denota di per sé una stretta connessione fra il contribuente accertato e il terzo contitolare del conto corrente bancario.