E' possibile vivere nella casa del compagno deceduto senza testamento, nel caso di residenza solo effettiva? Dopo le modifiche introdotte dalla Legge Cirinnà, è stato chiesto all'Agenzia delle Entrate anche se in caso di risposta affermativa, l'ex convivente diventa anche parte attiva nella successione (con indicazione nella dichiarazione). I chiarimenti nella Risposta all'interpello n. 436 del 4 novembre 2019 allegata gratuitamente a questo articolo.
In particolare, nel caso di specie, l'istante è erede del fratello deceduto in assenza di testamento. Il defunto non aveva figli ed ha coabitato dal 2008 con la compagna nell'abitazione a lui interamente intestata. La convivente ha sempre avuto la residenza anagrafica in un comune limitrofo ma, dal 2008 la sua residenza effettiva è stata presso il convivente in maniera ininterrotta. L'interpellante ha chiesto all'Agenzia delle Entrate se:
- ai fini del riconoscimento del diritto di abitazione a favore del convivente more uxorio è necessaria la residenza anagrafica oppure se la coabitazione può essere provata in altro modo.
- se è possibile inserire nella dichiarazione di successione del defunto fratello anche la convivente superstite quale titolare del diritto di abitazione, pur in assenza, al momento dell'apertura della successione della residenza anagrafica presso la casa del de cuius.
La Legge Cirinnà (L. 76/2016) in tema di regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze stabilisce che ai fini dell'accertamento della stabile convivenza si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica pertanto tale status può:
- risultare dai registri anagrafici
- o essere oggetto di autocertificazione.
Pertanto, nel caso di specie, lo status di convivente può essere riconosciuto sulla base di una "autocertificazione" sebbene la convivenza con il de cuius non risulti da alcun registro anagrafico e la convivente superstite non abbia la residenza anagrafica nella casa di proprietà del de cuius.
Con riferimento, inoltre, al diritto di abitazione riconosciuto al convivente di fatto superstite la Suprema Corte ha chiarito che "la convivenza "more uxorio", quale formazione sociale che dà vita ad un autentico consorzio familiare, determina, sulla casa di abitazione ove si svolge e si attua il programma di vita in comune, un potere di fatto basato su di un interesse proprio del convivente ben diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità, tale da assumere i connotati tipici di una detenzione qualificata, che ha titolo in un negozio giuridico di tipo familiare, con la conseguenza che l'estromissione violenta o clandestina dall'unità abitativa, compiuta da terzi e finanche dal convivente proprietario in danno del convivente non proprietario, legittima quest'ultimo alla tutela possessoria, consentendogli di esperire l'azione di spoglio. Tale situazione giuridica non immuta, tuttavia, al regime legale della detenzione del bene, in quanto riconducibile ad un diritto personale di godimento che viene acquistato dal convivente in dipendenza del titolo giuridico individuato dall'ordinamento nella comunanza di vita attuata anche mediante la coabitazione, ossia attraverso la destinazione dell'immobile all'uso abitativo dei conviventi(.).
Il riconoscimento del diritto di continuare ad abitare nella casa comune ad opera del citato articolo 1 comma 42 della legge n. 76 del 2016 è volto a garantire la tutela del diritto all'abitazione dalle pretese restitutorie dei successori del defunto per un lasso di tempo ragionevolmente sufficiente a consentite al convivente superstite di provvedere in altro modo a soddisfare l'esigenza abitativa.
Nel caso in esame il convivente non assume la qualifica di legatario dell'immobile in quanto manca una disposizione testamentaria volta a istituirlo come tale ai sensi dell'articolo 588 del codice civile.