Nei casi di riscatto di quanto versato al fondo di previdenza complementare l' agevolazione fiscale prevista per i privati deve essere estesa anche ai dipendenti pubblici
E' quanto ha stabilito la Corte Costituzionale la Sentenza n. 218 del 3 ottobre 2019 che affermato l’incostituzionalità del diverso trattamento tributario che si è creato tra dipendenti pubblici e privati, riguardo la possibilità di riscattare una posizione individuale maturata tra il 2007 e il 2017, presso una forma di previdenza complementare.
La questione legittimità costituzionale era stata posta dalla Commissione tributaria provinciale di Vicenza riguardo l’art. 23, comma 6, del decreto legislativo 5
dicembre 2005, n. 252 (Disciplina delle forme pensionistiche complementari), in relazione all’art. 52, comma 1, lettera d-ter), del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione.
Il giudice aveva osservato che la riforma introdotta dalla legge 23 agosto 2004, n. 243 avente tra l’altro ad oggetto l’adozione di norme intese a «sostenere e favorire lo sviluppo di forme pensionistiche complementari» (art. 1, comma 1), non avrebbe trovato immediata applicazione nei confronti del pubblico impiego. Infatti, non era stato emanato l’apposito decreto di armonizzazione necessario.
Nella difesa instaurata a nome della Presidenza del Consiglio dall'Avvocatura dello Stato si affermava che: la stabilità del rapporto pubblico e la circostanza che i dipendenti pubblici percepissero e continuino a percepire trattamenti pensionistici obbligatori di importo pari «circa al doppio di quelli percepiti dai dipendenti privati», costituirebbero «ragioni sufficienti a giustificare una disciplina differenziata del trattamento fiscale delle prestazioni erogate dalle forme di previdenza complementare».
Un ulteriore profilo di infondatezza sarebbe il fatto che la previdenza integrativa sarebbe stata costituita prendendo a modello il settore dipendente privato e attribuendo un ruolo fondamentale al trattamento di fine rapporto. Inoltre la «diversa disciplina ed entità del TFS e la differente modalità di accantonamento del TFR» costituirebbero, ad avviso dell’Avvocatura, ulteriori ragioni che varrebbero «a rendere non irragionevole la scelta del legislatore di differenziare il trattamento fiscale delle prestazioni di previdenza complementare erogate dai fondi pensione ai lavoratori pubblici e privati».
Secondo la Corte invece i rilievi dell'Avvocatura non sono fondati in quanto , nel caso in esame, "è palese che la ratio del beneficio riconosciuto a favore dei
dipendenti privati – quella di favorire lo sviluppo della previdenza complementare, dando attuazione al sistema dell’art. 38, secondo comma, Cost. – è identicamente ravvisabile anche nei confronti di quelli pubblici".
Va ricordato che già l’art. 1, comma 156, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 ha previsto il superamento della disparita di trattamento affermando che «[a] decorrere dal 1° gennaio 2018, ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, si applicano le disposizioni concernenti la deducibilità dei premi e contributi versati e il regime di tassazione delle prestazioni di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252.