Il lavoratore licenziato per superamento del periodo di comporto va reintegrato se l'Azienda non dimostra di essere iscritta all'associazione firmataria del CCNL che afferma di applicare. Questo quanto confermato dalla Cassazione nell'ordinanza 22367 del 6 settembre 2019. Gli ermellini hanno infatti approvato la decisione del giudice di appello che aveva ordinato la rentegra del lavoratore, con applicazione di un ccnl piu coerente con l'oggetto sociale dell'Impresa e che prevede un periodo di comporto molto maggiore.
Nello specifico il caso riguardava la domanda proposta da un lavoratore nei confronti di una s.r.l. che si occupa di distribuzione commerciale, che chiedeva l' illegittimità del licenziamento intimatogli per superamento del periodo di comporto, e la reintegra e risarcimento sanciti dall'art.18 1egge 300/70 .
La Corte territoriale, pur essendo incontestata la durata della malattia nella misura di 237 giorni continuativi, aveva confermato la decisione del primo giudice il quale aveva ritenuto inapplicabile alla fattispecie il contratto collettivo del settore terziario Confcommercio, che prevedeva un periodo di comporto pari a 180 giorni, e aveva recepito invece la proposta del lavoratore sulla applicabilità del contratto collettivo Confail Confimea, che prevede un periodo di comporto di 365 giorni (rendendo quindi illegittimo il licenziamento ).
La Corte di appello considerava infatti che la società non aveva dimostrato, come previsto dall'art. 5 legge 604/1966 (onere di allegare e provare i fatti costitutivi del legittimo esercizio del potere di recesso) la propria adesione alla Confcommercio e neppure a Federdistribuzione. A questo scopo non sono sufficienti né i riferimenti contenuti nella lettera di assunzione ne nelle buste paga versate in atti; neppure il fatto che il CCNL confimea non fosse attivo all'epoca dell'assunzione del lavoratore è rilevante , perche il CCNl da prendere in considerazione nella causa per licenziamento è quello attivo al momento del recesso.
Gli ermellini convalidano la decisione di secondo grado affermando innanzitutto il principio in base al quale i contratti collettivi di lavoro non dichiarati efficaci "erga omnes" ai sensi della legge 14 luglio 1959 n. 741, costituendo atti di natura negoziale e privatistica, si applicano esclusivamente ai rapporti individuali intercorrenti tra soggetti che siano entrambi iscritti alle associazioni stipulanti, ovvero che, in mancanza di tale condizione, abbiano fatto espressa adesione ai patti collettivi e li abbiano implicitamente recepiti attraverso un comportamento concludente, desumibile da una costante e prolungata applicazione delle relative clausole ai singoli rapporti (vedi Cass. 8/5/2009 n.10632).
La Corte ricorda la sentenza (Cass. 3/8/2000 n.10213) in cui si afferma che se una delle parti fa riferimento, per la decisione della causa, ad una clausola di un determinato contratto collettivo di lavoro, non efficace "erga omnes", sulla base del fatto che a tale contratto entrambe le parti si erano sempre ispirate per la disciplina del loro rapporto, il giudice del merito ha il compito di vaiutare in concreto il comportamento posto in essere dal datore di lavoro e dal lavoratore, per accertare accertare, pur in difetto della iscrizione alle associazioni sindacali stipulanti, se sussiste il vincolo della contrattazione collettiva invocata . Ma neanche l'utilizzo degli istituti contrattuali del CCNL Confcommercio nel calcolo delle buste paga viene considerato "comportamento concludente" in mancanza dell'adesione esplicita e della produzione in atti del testo ufficiale del Contratto a cui fare riferimento .