La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 15379 del 6 giugno 2019, ha stabilito che è da ammettere al passivo fallimentare del datore di lavoro l'importo delle retribuzioni non percepite da un dipendente licenziato illegittimamente e non reintegrato .
Il caso riguardava l'esclusione dal passivo del fallimento del credito privilegiato di un lavoratore , pari a 144.062,44, corrispondente alle retribuzioni maturate dal 13 febbraio 2007 (data del licenziamento) al 10 aprile 2015 (data di dichiarazione di fallimento), sulla base della sentenza del Tribunale di Napoli n. 28413/2009 (in giudicato) sull'illegittimità del licenziamento intimatogli dalla società poi fallita.
A motivo della decisione a favore dell'azienda , il Tribunale escludeva la prova da parte del lavoratore dell'offerta delle proprie energie lavorative alla società datrice per esserne riassunto. Il lavoratore ricorreva per cassazione per inesistenza di un onere probatorio a suo carico e inoltre denunciava la violazione del giudizio di reintegrazione nel posto di lavoro.
La cassazione accoglie il ricorso . Per i giudici non rileva , tra l'altro , se il dipendente si sia reso o no disponibile al rientro lavorativo, poiché, la declaratoria di illegittimità del licenziamento sposta in capo al datore il dovere di richiamare il lavoratore sul luogo di lavoro. Se inadempiente, dovrà quindi riconoscergli tutte le retribuzioni dalla data del licenziamento.
Per i supremi giudici non rileva neppure che il lavoratore nel frattempo abbia intrapreso una nuova attività, in quanto ciò non è significativo di una sua carenza d'interesse al ripristino del precedente contratto . La cassazione quindi cassa il decreto del Tribunale e rinvia per una nuova valutazione allos tesso Tribunale in diversa composizione