Ancora due risposte dell'Agenzia delle entrate in tema di detassazione di ricercatori e docenti che rientrano in Italia. Nell'interpello n 33 del 11 ottobre 2018 l'Agenzia afferma che se il ricercatore italiano che rientra in Italia per un nuovo contratto di lavoro ma non acquisisce la residenza fiscale italiano non puo godere degli incentivi fiscali previsti dal DL 78 2010.
Si tratta lo ricordiamo della detassazione del 90% sui redditi prodotti sia con lavoro autonomo che dipendente, per laureati che abbiano svolto , prima del rientro in Italia per almeno due anni attività di ricerca presso universita straniere. La norma richiede però che si acquisisca la residenza fiscale italiana. Non viene pero chiarito nel testo normativa se c'è un periodo massimo di tempo entro il quale si debba effettuare l'iscrizione all'anagrafe del Comune italiano. Il dubbio riguardava infatti un ricercatore dipendente di una societa che dall'assunzione nel 2015 aveva svolto atti ità di ricerca sia all'estero che in Italia, spostando la residenza solo nel 2018 . L'agenzia quindi afferma che non è applicabile la detassazione in quanto non c'è consequenzialità fra il contratto con la società italiana e il rientro effettivo in Italia.
L'agenzia ricorda in proposito la circolare 17/2017 per la quale “la norma prevede espressamente che il docente o il ricercatore acquisisca la residenza fiscale nel territorio dello Stato e ciò avvenga in conseguenza dello svolgimento della attività lavorativa in Italia”. Dunque, il rientro in Italia per lo svolgimento dell’attività di docenza e ricerca deve necessariamente essere seguito dall’acquisizione della residenza fiscale, in quanto - dispone la norma in esame - “… acquisendo conseguentemente la residenza fiscale nel territorio dello Stato”.
La risposta ad interpello n. 32 2018 invece fa riferimento da un caso di applicazione della norma pressoche analoga contenuta nel D.Lgs 147 2015 che ha introdotto il “regime speciale per lavoratori impatriati” con uno sgravio del 50% sempre per favorire il trasferimento in Italia di lavoratori con alte qualificazioni e specializzazioni e "favorire lo sviluppo tecnologico, scientifico e culturale del nostro paese". Si tratta di un’agevolazione temporanea, applicabile per un quinquennio a decorrere dal periodo di imposta in cui il lavoratore trasferisce la residenza fiscale in Italia e per i quattro periodi di imposta successivi.
Sul caso prospettato di un laureato lavoratore dipendente iscritto all'AIRE dal 2012 al 2017 e trasferito in Italia nel 2018, l' Agenzia dà parere positivo sull'applicazione dell'agevolazione, precisando che la norma non indica espressamente un periodo minimo di residenza estera. Ricorda anche che con risoluzione n. 51/E del 7 luglio 2018, aveva già affermato che: “considerato, tuttavia, che il comma 2 prevede un periodo minimo di lavoro all’estero di due anni, la scrivente ritiene che, per tali soggetti, la residenza all’estero per almeno due periodi d’imposta costituisca il periodo minimo sufficiente ad integrare il requisito della non residenza nel territorio dello Stato e a consentire, pertanto, l’accesso al regime agevolativo”. Detti soggetti possono accedere all’agevolazione a condizione che trasferiscano la residenza in Italia ai sensi dell’art. 2, del TUIR, e si impegnino a permanervi per almeno due anni.