La Cassazione sezione lavoro, sentenza n. 20774 del 17 Agosto 2018 ha riaffermato il principio già consolidato per cui "ogni forma di tecnopatia che possa ritenersi conseguenza di attività lavorativa (come lo stress e la depressione per vessazioni sul posto di lavoro) risulta assicurata all'INAIL, anche se non è compresa tra le malattie o tra i rischi tabellati. In tal caso il lavoratore deve dimostrare soltanto il nesso di causa tra la situazione lavorativa patogena e la malattia."
Il caso riguardava un lavoratore che aveva chiesto il riconoscimento della natura professionale della depressione di cui soffriva, cagionata dalla condotta vessatoria tenuta nei suoi confronti dalla azienda datrice di lavoro, nello specifico l'Università degli Studi di Perugia.
La Corte d'Appello di Perugia, come il Tribunale in primo grado avevano rigettato la richiesta basandosi sul presupposto che non era tutelabile nell'ambito dell'assicurazione obbligatoria gestita dell'Inail la malattia derivante non direttamente dalle lavorazioni elencate nell'articolo 1 d.p.r. 1124/1965. La sindrome depressiva era infatti risultata causata da situazioni di costrittività organizzativa, dedotto come mobbing nel ricorso introduttivo. La corte di Appello nel rigettare il ricorso dell'erede, subentrata a causa del decesso del lavoratore, affermava che il rischio rilevante doveva essere comunque connesso, anche se indirettamente, con le lavorazioni di cui all'art. 1 del d.p.r. n. 1124 del 1965, richiamandosi alla sentenza del Consiglio di Stato n. 1576 del 17 marzo 2009 .
Contro la sentenza di appello, il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione che ha invece accolto il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo e dichiarato assorbito il terzo, sulla base del principio secondo cui in materia di assicurazione sociale rileva non soltanto il rischio specifico proprio della lavorazione, ma anche il c.d. rischio specifico improprio, ossia non strettamente insito nell'atto materiale della prestazione ma comunque collegato con la prestazione stessa.
La sentenza è stata quindi cassata e inviata alla Corte di Appello di Firenze.