Il Consiglio dei Ministri ha recentemente approvato il decreto legislativo atto al recepimento della Direttiva europea denominata Atad e che si pone l’obiettivo di scoraggiare le pratiche di elusione fiscale e garantire un’equa ed efficace imposizione nell’Unione, che elimini le distorsioni di mercato in modo sufficientemente coerente e coordinato. Ad oggi l’iter del recepimento non è ancora concluso ed il decreto legislativo deve essere vagliato dalle Camere per giungere poi allo step conclusivo, la pubblicazione, entro il 31 dicembre 2018.
Per quanto riguarda la disciplina delle CFC (controlled foreign company), secondo quanto previsto dalla direttiva 2016/1164 negli articoli 7 e 8, per adottare le linee guida europee sarà necessario intervenire sul disposto normativo dell’art. 167 del TUIR. Ad oggi la normativa disciplina la tassazione per trasparenza in capo al soggetto residente dei redditi delle imprese estere da questo controllate (direttamente o indirettamente) e localizzate in Stati in cui il livello nominale di tassazione risulti inferiore al 50% di quello nominale applicabile all’Italia o in cui vi siano regimi speciali di tassazione.
La disciplina CFC, al co. 5, prevede due esimenti:
- quando la controllata svolga un’effettiva attività industriale o commerciale come sua principale attività; e
- quando dalle partecipazioni non consegua l’effetto di delocalizzare i redditi in Stati o territori a fiscalità privilegiata.
Tali esimenti però perdono il loro valore nel momento in cui i proventi della controllata provengano per più del 50% da passive income oppure da prestazioni di servizi intra gruppo, ivi compresi quelli finanziari; in questi casi, infatti, resta escluso il collegamento territoriale che si pone alla base dell’esimente stessa e scatta la presunzione di elusività dell’operazione.
Di contro, fino ad oggi, per le CFC localizzate in stati White list la disciplina poteva essere disapplicata “semplicemente” dimostrando l’operatività della società, ovvero il fatto che l’insediamento estero non fosse meramente un artificio posto in essere per ottenere un vantaggio fiscale. Nella direttiva si legge che la disciplina “non si applica se la società controllata estera svolge un'attività economica sostanziale sostenuta da personale, attrezzature, attivi e locali, come evidenziato da circostante e fatti pertinenti”; questa rappresenta l’unica esimente all’applicazione della tassazione per trasparenza prevista dalla direttiva.
Nel Decreto legislativo in oggetto non è più stata riproposta la distinzione tra paesi White list e paesi Black list poiché nella direttiva si legge chiaramente che in entrambi i casi la normativa CFC si applica se i soggetti controllati non residenti:
- sono assoggettati ad una tassazione inferiore alla metà di quella a cui verrebbero effettivamente sottoposti in Italia;
-
più di un terzo dei proventi deriva dalle categorie di passive income indicate nella direttiva, ovvero:
- interessi o qualsiasi altro reddito generato da attivi finanziari;
- canoni o qualsiasi altro reddito generato da proprietà intellettuale;
- dividendi e redditi derivanti dalla cessione di azioni;
- redditi da leasing finanziario;
- redditi da attività assicurativa, bancaria e altre attività finanziarie;
- redditi da società di fatturazione che percepiscono redditi da vendite e servizi derivanti da beni e servizi acquistati da e venduti a imprese associate, e aggiungono un valore economico scarso o nullo.
Al di sotto della soglia di un terzo, secondo la direttiva, lo Stato membro può scegliere di non trattare un'entità o una stabile organizzazione estera in regime di CFC.
Inoltre, secondo quanto previsto dalle norme di indirizzo europee gli Stati membri possono escludere dall'ambito di applicazione della tassazione CFC un'entità o una stabile organizzazione:
- con utili contabili non superiori a 750 000 euro e redditi non derivanti da scambi non superiori a 75 000 euro; o
- i cui utili contabili non ammontino a più del 10 per cento dei suoi costi di esercizio nel periodo d'imposta.