In virtù del principio della “immedesimazione organica” dell'amministratore nella persona giuridica che rappresenta, la Corte di Cassazione ha stabilito che la società risponde degli illeciti commessi dal proprio amministratore/rappresentante legale proprio per il rapporto organico in essere tra il soggetto giuridico ed il proprio amministratore.
Con la sentenza n. 12675 del 23 maggio 2018, la Corte di Cassazione si è espressa su un ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate nei confronti della CTR della Calabria per una sentenza riguardante i comportamenti illeciti tenuti dal presidente di una cooperativa depositaria di grano per conto di un’azienda statale.
Secondo la magistratura tributaria, in siffatta situazione non può essere invocato (come invece fatto dall’Agenzia delle Entrate) il principio della immedesimazione organica, con la conseguenza che dal fatto doloso dell’amministratore possa discendere l’obbligo tributario della società cooperativa “danneggiata e non a conoscenza del fatto delittuoso”.
Di tutt’altro avviso la Suprema Corte.
Riprendendo un percorso giurisprudenziale di legittimità già tracciato dalla nomofilachia (sentenza n. 25946 del 2011), la Corte ha affermato che per il principio di immedesimazione organica la società “risponde civilmente degli illeciti commessi dall'organo amministrativo nell'esercizio delle sue funzioni, ancorché l'atto dannoso sia stato compiuto dall'organo medesimo con dolo o con abuso di potere, ovvero esso non rientri nella competenza degli amministratori, ma dell'assemblea, richiedendosi unicamente che l'atto stesso sia, o si manifesti, come esplicazione dell'attività della società, in quanto tenda al conseguimento dei fini istituzionali di questa, e tale responsabilità si aggiunge, ove ne ricorrano i presupposti, a quella degli amministratori, prevista dall'art. 2395 c.c.: nella specie, si è ravvisata la responsabilità di una banca popolare con riguardo ad una delibera del consiglio di amministrazione, che aveva disposto il trasferimento a terzi delle azioni appartenenti ad alcuni soci, nel contempo disponendone l'illegittima esclusione”.
Ne consegue che la commissione di un illecito da parte del legale rappresentante di un Ente non interrompe il rapporto organico esistente tra soggetto giuridico e persona fisica e non esclude a priori che del comportamento tenuto dall’amministratore di una società possa risponderne la società stessa. Ciò in quanto, nel caso specifico, il presidente della società cooperativa oggetto del ricorso non ha tenuto un comportamento illecito in qualità di privato cittadino, ma nell’esercizio delle sue funzioni di legale rappresentante della cooperativa di cui era amministratore.