Lo scorso 21 febbraio è stato presentato alla Camera il V Rapporto sul bilancio del sistema previdenziale italiano a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali. Si tratta di un gruppo di lavoro, patrocinato dal Ministero del lavoro che raccoglie tutti i dati delle banche dati istituzionali e li analizza sia una visione d’insieme del sistema previdenziale italiano sia di fornire una riclassificazione della spesa inserita nel più ampio bilancio dello Stato, fornendo così a esperti e decisori politici una serie di dati utili alla gestione di una spesa pari a quasi la metà dell’intera spesa pubblica.
Dall'anno scorso la novità del IV Rapporto è stata la ripartizione delle entrate contributive e della spesa pensionistica ed assistenziale per singola Regione, offrendo interessanti spunti di analisi e riflessione agli studiosi e ai politici , mentre in questa edizione vengono approfondite le prestazioni pensionistiche e assistenziali relative ad alcune categorie di lavoratori che mantengono vantaggi, le prestazioni pagate all’estero e agli immigrati.
Nella presentazione del Prof. Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali afferma che " Dopo un periodo difficile, arrivano dati e segnali incoraggianti dall'Italia in materia di lavoro e pensioni. I dati principali analizzati dal 1989 al 2016 evidenziano che :
- a fine 2016 il numero degli occupati è aumentato rispetto al 2015 di 294 mila unità passando da 22.464.753 a 22.757.838, il dato migliore dal 2009 e simile a quello del 2007; addirittura a ottobre il tasso di occupazione complessivo ha toccato il 58,1% con 23,058 milioni di occupati che eguaglia il record di tutti i tempi registrato nel 2008 con 23,090 milioni di occupati.
- L’occupazione femminile è passata dal 47,1% del 2007 al 49,1% del secondo trimestre del 2017, il dato migliore di sempre.
- Continua anche l’aumento degli occupati over 50 che passa dal 47% del 2008 al 59,5% nel terzo trimestre 2017.
Permane ancora una forte disoccupazione (11,1%), ma una fetta consistente dipende da difetti italici quali adattabilità e specializzazione; si stima infatti una carenza di circa 65 mila specializzati richiesti dall’industria e qualche centinaio di migliaia dalle attività artigianali e di servizio, solo in parte colmate dagli immigrati.
Anche il Pil reale migliora e supera quota 1,5%, fondamentale per tenere sotto controllo il rapporto spesa pensioni/PIL.
Sul fronte delle pensioni i dati sono positivi: il numero dei pensionati si è ridotto di 114.869 unità toccando nel 2016 quota 16.064.508, il dato più basso dal 1997 (primo anno del nostro data base). Pertanto, il rapporto tra attivi e pensionati è arrivato a 1,417, non un dato eclatante, ma il migliore dal 1997. Con un rapporto di 1,5 attivi per pensionato il sistema è semz'altro sostenibile.
Infine, la spesa pensionistica pura è aumentata del solo 0,20% tra il 2015 e il 2016, segnando nel triennio un incremento annuale dello 0,57%, tra i più bassi di sempre.
Il presidente di Itinerari previdenziali offre una visione nuova quando afferma che "nei prossimi anni coloro che cesseranno di lavorare saranno maggiori di quelli che entreranno nel mercato del lavoro a causa della riduzione delle nascite, passate dal milione l’anno del post dopo guerra alle 400 mila degli ultimi anni, per cui, a logica, si dovrà ridurre il tasso degli inattivi e quello dei disoccupati; le donne dovrebbero passare dal 49% al 60% e il tasso totale degli occupati si dovrebbe attestare poco sopra il 70%. Dunque sui fronti sono possibili miglioramenti naturali prodotti dal mercato (si pensi al numero di posti di lavoro prodotti dalla silver economy) e azioni del Governo che tendano ad aumentare occupazione e produttività attraverso misure che favoriscano l’imprenditorialità e il lavoro indipendente e, attraverso il credito d’imposta alle aziende, anche quello dipendente.
Invece il Rapporto suggerisce che occorre ridurre la spesa per assistenza, che cresce a un ritmo spaventoso e non sostenibile del 5,9% l’anno e il debito pubblico che, malgrado l'austerità delle regole europee, in questi ultimi 5 anni è aumentato di 228 miliardi nonostante - grazie alla BCE - si siano risparmiati 49,5 miliardi di spesa per interessi sul debito.