Nella sentenza di Cassazine civile sez. lav., n. 17012 del 10 Luglio 2017 è stato ribadito l’orientamento consolidato in tema di occupazione di lavori socialmente utili o per pubblica utilità. Come noto questo tipo di rapporto è stato istituito con finalita di matrice assistenziale e componente formativa, ma , dice la Cassazione, "ciò non esclude che in concreto il rapporto possa avere le caratteristiche di un ordinario rapporto di lavoro subordinato con conseguente applicazione dell'art. 2126 c.c." Inoltre , ai fini della qualificazione come rapporto di lavoro prestato alle dipendenze di una Pubblica Amministrazione, rileva che il lavoratore risulti effettivamente inserito nell'organizzazione pubblicistica ed adibito ad un servizio rientrante nei fini istituzionali dell'Amministrazione.
Per questo motivo una lavoratrice ha ottenuto la conferma della condanna del Ministero della Giustizia al pagamento in favore della differenza tra quanto percepito a titolo di compensi per lo svolgimento di lavori socialmente utili nel periodo dal 6 aprile 1999 al 31 ottobre 2000 e quanto dovutole in base al trattamento retributivo previsto per l'impiegato inquadrato nel V livello come operatore amministrativo, oltre interessi legali ed eventuale rivalutazione.
Il ministero sosteneva invece che questo istituto non potesse mai essere qualificato come lavoro subordinato prestato alle dipendenze della Pubblica Amministrazione.
Va ricordato che i lavori socialmente utili sono stati istituiti con il d.lgs. 280/1997, recante norme in materia di interventi a favore di giovani inoccupati nel Mezzogiorno e revisionati dal d.lgs. 468/1997. In particolare, l’art. 3 del d.lgs. 280/1997, definisce i settori nei quali sono attivati i lavori di pubblica utilità (servizi alla persona, salvaguardia e cura dell'ambiente e del territorio, sviluppo rurale e dell'acquacoltura, recupero e riqualificazione degli spazi urbani e dei beni culturali), stabilendo la durata massima di dodici mesi per i relativi progetti e rinviando per le modalità di attuazione a quelle stabilite dall’art. 1 del D.L. 510/1996, (che, fra l'altro, ha previsto a carico dell'INPS un sussidio non superiore a L. 800.000 mensili).