Ai compensi dei professionisti si applica il principio di cassa: pertanto la disponibilità della somma indicata nel titolo di credito va inquadrata al momento in cui lo stesso è ricevuto. E' questo il principio espresso dalla Corte di cassazione con l’ordinanza n. 15439 del 21 giugno 2017, secondo cui “il fatto che la dazione dell’assegno bancario sia "salvo buon fine" non impedisce di commisurare alla data della percezione del titolo la disponibilità della somma, laddove non sia in contestazione l’esistenza della provvista sufficiente al regolare pagamento del titolo”.
La vicenda processulae riguarda un avviso di accertamento Irpef Iva, emesso nei riguardi di un ingegnere che aveva fatturato nel 2005 un compenso percepito il 30 dicembre 2004 – sul presupposto che il compenso in questione era stato corrisposto a mezzo di assegno bancario, reso disponibile con valuta il 10 gennaio 2005.
La Commissione tributaria provinciale aveva accolto il ricorso del contribuente, con sentenza totalmente favorevole.
L’Agenzia delle Entrate ricorreva alla Commissione tributaria regionale, che accoglieva parzialmente l’appello, riconoscendo legittima la ripresa a tassazione per l'anno 2004 ma non l'erogazione delle sanzioni in quanto il professionista aveva fatturato il compenso e corrisposto ugualmente le imposte l'anno successivo.
Le Entrate ricorrevano così per Cassazione, secondo la quale “Il fatto che la dazione dell’assegno bancario sia "salvo buon fine" non impedisce di commisurare alla data della percezione del titolo la disponibilità della somma, laddove, come nella fattispecie in esame, non sia in contestazione l’esistenza della provvista sufficiente al regolare pagamento del titolo”.