L'indennità di disoccupazione richiesta dal lavoratore a seguito di dimissioni per giusta causa, può essere erogata dall’Inps solo se sono state rassegnate in conseguenza di una condotta datoriale censurabile. Invece le dimissioni per ragioni di salute che non consentono al lavoratore di proseguire l’attività nello specifico posto di lavoro non rientra nel concetto di giusta causa per cui l'indennità non spetta.
Questa in sostanza la decisione della Corte di Cassazione nella sentenza n. 12565 del 18 maggio 2017. Nel caso specifico il lavoratore aveva fatto ricorso al diniego dell'INPS di indennità di disoccupazione a seguito della richiesta avvenuta dopo dimissioni da una panetterei . Il Tribunale aveva condannato l'Inps al pagamento ritenendo che la natura della patologia (asma bronchiale da allergia alle farine) rendeva oggettivamente impossibile il lavoro del richiedente. L'INPS ha proposto ricorso per cassazione, che viene accolto dalla Suprema Corte.
Nelle motivazioni la Corte di Cassazione ricorda che l'indennità di disoccupazione applicabile alla fattispecie è disciplinata dall art. 34 comma 5 della legge n. 448 del 1998 (legge finanziaria per l'anno 1999) e non risente delle innovazioni in materia di trattamento di disoccupazione introdotte dalla legge n. 92 del 2012 e dal d.lgs. n. 22 del 2015, attuativo del Jobs Act.
Con la decisione viene consolidato l'orientamento giurisprudenziale per cui l’indennità di disoccupazione non deve essere corrisposta nell'ipotesi di dimissioni rassegnate per motivi di salute, che sono estranee alla nozione di giusta causa perché non legate alla ricorrenza di fatti riferibili al datore di lavoro o a terzi.
La Corte sottolinea inoltre che l'inabilità al lavoro per motivi di salute è tutelata da diverse e piu specifiche previsioni normative .