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PERMESSI LEGGE 104: LA CASSAZIONE SI ESPRIME SU UN LICENZIAMENTO PER USO IMPROPRIO

Permessi legge 104: la Cassazione si esprime su un licenziamento per uso improprio

L'uso improprio dei permessi della Legge 104 può giustificare il licenziamento, ma la gravità delle sanzioni deve essere proporzionata alla condotta valutata caso per caso

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E' legittimo l'utilizzo, da parte del lavoratore, dei permessi della Legge n. 104/1992 per lo svolgimento di attività funzionali alle necessità del soggetto assistito (quali provvedere alla spesa per quest'ultimo).

Lo ha sancito la Corte di Cassazione con l'Ordinanza n. 22643 del 9 agosto 2024.

Ma vediamo brevemente il caso in questione.

La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con l'ordinanza n. 22643 del 9 agosto 2024, ha esaminato un caso di licenziamento disciplinare per uso improprio dei permessi concessi ai sensi dell'art. 33, comma 3, della Legge 104/1992. 

Questo provvedimento offre un'analisi dettagliata sui limiti di utilizzo di tali permessi e sulla proporzionalità delle sanzioni disciplinari, contribuendo a delineare ulteriormente la giurisprudenza in materia.

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1) Permessi legge 104: il caso in esame

Un lavoratore dipendente di un'azienda di Supermercati, era stato licenziato per giusta causa in seguito all'accertamento che, in alcune giornate per le quali aveva usufruito dei permessi previsti dalla Legge 104/1992, non aveva effettivamente prestato assistenza al proprio familiare disabile. La Corte d'Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva dichiarato risolto il rapporto di lavoro e condannato la società a corrispondere al lavoratore un'indennità risarcitoria pari a 12 mensilità

Al lavoratore erano stati contestati diversi episodi in cui non aveva svolto alcuna attività di assistenza, come previsto per la fruizione dei permessi. Tuttavia, la Corte d'Appello aveva rilevato che solo parte delle accuse erano supportate da prove sufficienti, riducendo così la gravità complessiva della condotta del lavoratore. 

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2) Permessi legge 104: la decisione della Cassazione

La Cassazione ha rigettato il ricorso presentato dalla società datrice di lavoro, confermando la decisione della Corte d'Appello. La Corte ha ribadito che l'uso dei permessi della Legge 104/1992 deve essere strettamente legato all'assistenza del familiare disabile, ma ha anche sottolineato che la valutazione sulla gravità della violazione e sulla proporzionalità della sanzione spetta al giudice di merito

Nel caso in esame, la Cassazione ha ritenuto legittima la decisione della Corte d'Appello di ridimensionare la gravità dell'inadempimento, tenendo conto dell'assenza di precedenti disciplinari e del quadro probatorio non del tutto univoco.

Questa ordinanza della Cassazione sottolinea l'importanza di una rigorosa aderenza agli obblighi connessi ai permessi della Legge 104/1992, ma al contempo evidenzia la necessità di un'accurata valutazione della proporzionalità delle sanzioni disciplinari in relazione alla condotta effettivamente accertata. 

Le aziende devono prestare particolare attenzione nel documentare adeguatamente eventuali abusi, mentre i lavoratori devono essere consapevoli dei rigorosi requisiti imposti dalla legge per evitare sanzioni eccessive. 

Viene precisato che In coerenza con la ratio del beneficio, l'assenza dal lavoro per la fruizione del permesso deve porsi in relazione diretta con l'esigenza per il cui soddisfacimento il diritto stesso è riconosciuto, ossia l'assistenza al disabile. Tanto meno la norma consente di utilizzare il permesso per esigenze diverse da quelle proprie della funzione cui la norma è preordinata: 

  • il beneficio comporta un sacrificio organizzativo per il datore di lavoro, 
  • giustificabile solo in presenza di esigenze riconosciute dal legislatore (e dalla coscienza sociale) come meritevoli di superiore tutela. 

Ove il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile manchi del tutto non può riconoscersi un uso del diritto coerente con la sua funzione e dunque si è in presenza di un uso improprio ovvero di un abuso del diritto, oppure, secondo concorrente o distinta prospettiva, di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro (che sopporta modifiche organizzative per esigenze di ordine generale) che dell'ente assicurativo.

Fonte immagine: Foto di mohamed Hassan da Pixabay
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