La Corte costituzionale con la sentenza n. 22 del 2024 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 2, primo comma, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n.
23, limitatamente alla parola “espressamente”. In sostanza la Corte delle leggi afferma che è illegittimo limitare il riconoscimento della tutela reintegratoria ai soli casi di licenziamenti nulli per espressa previsione di legge, in quanto , invece, la norma della legge delega 183 20 "mira ad introdurre per le nuove assunzioni una disciplina generale dei licenziamenti di lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015, a copertura integrale per tutte le ipotesi di invalidità».
La consulta poche settimane fa si era espressa sempre sul tema della disciplina dei licenziamenti introdotta con il Jobs act , non per segnalare un punto censurabile ma confermando invece la legittimità delle norme sull'applicabilità e l'importo degli indennizzi in caso di licenziamenti collettivi illegittimi, contenute sempre nel Dlgs 23/2015 , attuativo della legge delega 183 2014
Vedi in merito Licenziamenti collettivi ok alla tutela economica non retroattiva
Rivediamo i dettagli della norma oggetto della nuova pronuncia e le motivazioni della sentenza chiarite nel comunicato della Consulta .
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1) Il testo della norma contestata
Decreto legislativo 23 2015 Art. 2 Licenziamento discriminatorio, nullo e intimato in forma orale
- 1. Il giudice, con la pronuncia con la quale dichiara la nullità del licenziamento perché discriminatorio a norma dell'articolo 15 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, ovvero perché riconducibile agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge, ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto. A seguito dell'ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall'invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l'indennità di cui al comma 3. Il regime di cui al presente articolo si applica anche al licenziamento dichiarato inefficace perché intimato in forma orale.
- 2. Con la pronuncia di cui al comma 1, il giudice condanna altresì il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata la nullità e l'inefficacia, stabilendo a tal fine un'indennità commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. In ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto. Il datore di lavoro è condannato, altresì, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.
- 3. Fermo restando il diritto al risarcimento del danno come previsto al comma 2, al lavoratore è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a quindici mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, la cui richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro, e che non è assoggettata a contribuzione previdenziale. La richiesta dell'indennità deve essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della pronuncia o dall'invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla predetta comunicazione.
- 4. La disciplina di cui al presente articolo trova applicazione anche nelle ipotesi in cui il giudice accerta il difetto di giustificazione per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore, anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 10, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68.
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2) La motivazione della sentenza della Corte costituzionale
Proprio la Corte di cassazione che rimesso la questione dell'art 2 al vaglio della Corte, aveva sollevato dubbi di costituzionalità, rispetto all’articolo 76 della Costituzione, per violazione del criterio di delega fissato dall’art. 1, comma 7, lettera c), della legge n. 183 del 2014 (cosiddetto Jobs Act), affermando che l’esclusione dei casi di licenziamento nullo diversi da quelle «espresse», non trova rispondenza nella legge di delega, la quale riconosceva la tutela reintegratoria nei casi di “licenziamenti nulli” senza distinzione alcuna.
La Corte costituzionale ha ritenuto fondata questa censura, osservando in particolare che il criterio direttivo, nella parte rilevante in proposito, aveva segnato il perimetro
della tutela reintegratoria del lavoratore nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo, escludendola, in negativo, per i licenziamenti “economici”, e prevedendola, in positivo, nei casi di licenziamenti nulli, discriminatori e di specifiche ipotesi di licenziamento disciplinare.
La Corte ha sottolineato che il testuale riferimento ai “licenziamenti nulli”, contenuto nel criterio direttivo, non prevedeva – e non consentiva quindi – la distinzione tra nullità espresse e nullità non espresse, ma contemplava una distinzione soltanto per i licenziamenti disciplinari ingiustificati.
Il legislatore delegato, al contrario, ha introdotto una distinzione non solo per questi ultimi, ma anche nell’ambito dei casi di nullità previsti dalla legge, differenziando
secondo il carattere espresso (e quindi testuale), o no, della nullità.
Inoltre, prevedendo la tutela reintegratoria solo nei casi di nullità espressa, ha lasciato prive di specifica disciplina le fattispecie “escluse”, ossia quelle di licenziamenti nulli sì, per violazione di norme imperative, ma privi della espressa sanzione della nullità, così dettando una disciplina incompleta e incoerente rispetto al disegno del legislatore delegante.
Dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma censurata, limitatamente alla parola “espressamente”, consegue che il regime del licenziamento nullo è lo stesso, sia che nella disposizione imperativa violata ricorra l’espressa sanzione della nullità, sia che ciò non sia testualmente previsto, sempre che risulti prescritto un divieto di licenziamento al ricorrere di determinati presupposti.