La Cassazione, con la sentenza n. 13162 del 14 maggio ha riconosciuto il diritto al rimborso dell’IVA assolta su opere di ristrutturazione aventi a oggetto beni di proprietà di terzi.
La suprema corte in sintesi afferma il seguente principio «L'esercente attività d'impresa o professionale ha diritto al rimborso dell'IVA per i lavori di ristrutturazione o manutenzione di immobili dei quali non è proprietario, ma che detiene in virtù di un diritto personale di godimento, purché sia presente un nesso di strumentalità tra tali beni e l'attività svolta».
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1) Rimborso IVA su ristrutturazione bene di terzi
L'Agenzia delle entrate notificava al titolare dell'impresa individuale Alfa, l'atto di recupero di un rimborso IVA.
La pretesa impositiva e relativa sanzione si fondava sul fatto che il rimborso era stato chiesto dal contribuente per IVA afferente alla effettuazione di lavori di ristrutturazione di fabbricati ed impianti su un terreno che il contribuente stesso deteneva in virtù di un contratto di locazione stipulato con un soggetto terzo e non quale proprietario, quindi al di fuori della previsione di cui all'art. 30, terzo comma, lett. c), DPR n. 633/1972.
Contro tale provvedimento dell'Agenzia il contribuente proponeva ricorso affermando il suo diritto al rimborso IVA.
L'impugnativa veniva accolta dalla Commissione tributaria provinciale che respingeva l'appello dell'Agenzia delle entrate
La CTR osservava in particolare che nel caso di specie doveva applicarsi il principio di diritto sancito dalle SS.UU. della Corte di Cassazione, secondo il quale «L'esercente attività d'impresa o professionale ha diritto alla detrazione IVA anche per i lavori di ristrutturazione o manutenzione di immobili di proprietà di terzi, purché sia presente un nesso di strumentalità tra tali beni e l'attività svolta, anche se potenziale o di prospettiva e pur se, per cause estranee al contribuente, detta attività non possa poi in concreto essere esercitata» (Cass. SS.UU., Sentenza n. 11533 del 11.5.2018).
Avverso la decisione ha proposto ricorso l'Agenzia delle entrate deducendo un motivo unico ma la cassazione ha rigettato il ricorso.
Con la sentenza n. 13162/2024 si evidenzia come il problema interpretativo consista nel comprendere se la normativa unionale consenta al legislatore nazionale di differenziare il trattamento giuridico della detrazione da quello del rimborso in termini sostanziali ovvero solo procedimentali.
Viene esaminato l’art. 183 della direttiva 2006/112/Ce, secondo cui, “qualora, per un periodo d’imposta, l’importo delle detrazioni superi quello dell’IVA dovuta, gli Stati membri possono far riportare l’eccedenza al periodo successivo, o procedere al rimborso secondo modalità da essi stabilite”.
La disposizione è interpretata dalle Sezioni Unite nel senso dell’“equivalenza dei presupposti della detrazione e del rimborso dell’IVA”, inquanto la norma possiede valenza meramente procedimentale (e non sostanziale), limitandosi a riconoscere agli Stati membri la facoltà di definire le “modalità” di rimborso dell’imposta.
Le condizioni sostanziali del diritto a detrazione e a rimborso sono individuate negli artt. 167 e ss. della citata direttiva, mentre gli artt. 178 ss. disciplinano le modalità di esercizio di tali diritti.
Le Sezioni Unite della Cassazione evidenziano che affermano avendo il giudice nazionale obbligo di un’interpretazione conforme delle disposizioni, la questione è risolta sulla base della disciplina unionale, fondata sul principio di neutralità, in virtù del quale vi è una “totale equiparazione di detrazione e rimborso”;
Inoltre la normativa interna art. 30 comma 2 lett. c) del DPR 633/72 non può essere interpretata limitandosi al tenore letterale ma deve essere riconosciuto il significato di “disponibilità di tali beni in virtù di un titolo giuridico che ne garantisca il possesso ovvero la detenzione per un periodo di tempo apprezzabilmente lungo”.