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PROSPETTO DILAZIONE ADE ERRATO: QUANDO VALE LA BUONA FEDE DEL CONTRIBUENTE

Prospetto dilazione ADE errato: quando vale la buona fede del contribuente

Buona fede del contribuente e errore scusabile se il ritardo di pagamento è dovuto al prospetto errato stampato dal sito ADE: Ordinanza Cassazione n 12648/2024

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E' considerata ipotesi di legittimo affidamento il ritardato pagamento di una rata imputabile a un errore nella scadenza indicato nel prospetto di dilazione che il contribuente ha stampato dal sito ADE.

L'ordinanza n. 12648 della Cassazione depositata il 9 maggio 2024 enuncia i criteri in base ai quali l'errore del contribuente è scusabile e in buona fede poiché derivante dalla stessa agenzia delle entrate.

Vediamo i dettagli del caso di specie.

1) Legittimo affidamento: quando ricorre per la Cassazione

La Corte di Cassazione con l'Ordinanza numero 12648 del 9 maggio ha analizzato il caso di un ricorso relativo ad un contribuente che ha pagato in lieve ritardo a causa di un errore di data, presente nel prospetto di dilazione stampato dal sito ADE, data diversa da quella che l'Agenzia indicava nel proprio prospetto.

Il contribuente aveva ottenuto la rateizzazione di un debito da comunicazione bonaria la cui terza rata scadeva, come da prospetto ADE in data 3 marzo. 

Il pagamento era stato effettuato in tale data ma l'Agenzia l'ha considerato tardivo sulla base di un prospetto in suo possesso che indicava come termine ultimo per pagare la terza rata, la data del 28 febbraio. 

Il ritardo ha comportato la decadenza dalla rateizzazione e l'invio al contribuente della cartella di pagamento. Tanto il contribuente quanto le entrate hanno prodotto in giudizio il proprio prospetto.

La violazione lamentata dall'Agenzia è quanto disposto dai commi 3 e 4 dell'articolo 3 bis del decreto legislativo 462 del 97.

La norma indica quale giorno di scadenza della rata l'ultimo giorno di ciascun trimestre e dunque il 28 febbraio mentre il pagamento della terza rata era avvenuto il 3 marzo di conseguenza secondo l'agenzia i giudici avrebbero dovuto dare preminenza al prospetto dell'ufficio e non a quello della contribuente Secondo i giudici della Cassazione la questione va affrontata sul piano dell'errore scusabile e del legittimo affidamento.

Viene richiamato quanto previsto dal secondo comma dell'articolo 10 della legge 212 del 2000 in applicazione del quale le sanzioni e gli interessi non sono dovuti qualora il contribuente si sia uniformato a indicazioni contenute in atti dell'amministrazione finanziaria ancorché successivamente modificate oppure il suo comportamento risulta attuato a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi omissioni o errori dell'amministrazione. 

La Cassazione ritiene che nel caso di specie ricorra quanto richiesto dalla consolidata giurisprudenza al fine del legittimo affidamento, ed evidenzia che il principio della tutela del legittimo affidamento del cittadino trova la sua base costituzionale nel principio di eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge e costituisce un elemento essenziale dello Stato di diritto limitandone l'attività legislativa e amministrativa.

Esso, pertanto, è immanente in tutti i rapporti di diritto pubblico ed anche nell'ambito della materia tributaria, dove è stato reso esplicito dall'art 10 della legge n. 212 del 2000.
Si è precisato che il principio di collaborazione e buona fede permea la disciplina tributaria, senza che la sua tutela  sia ancorata a schemi precostituiti ed al modello formale della validità/invalidità dell'atto, anzi richiedendo una declinatoria in concreto in relazione alla diversità delle fattispecie e delle situazioni. (Cass. 11.5.2021, n. 12372), pertanto secondo la cassazione, la CTR si è attenuta a questi principi.
Nella fattispecie in esame, è la stessa Agenzia delle entrate che nel ricorso per cassazione riproduce due diversi prospetti.

L'Amministrazione, inoltre, nemmeno ha fornito una qualche spiegazione di tale incongruenza, trincerandosi dietro il dato, ritenuto assorbente, che solo uno dei due prospetti fosse conforme a legge e senza tener conto del principio del legittimo affidamento al quale, invece, ha dato rilievo la sentenza impugnata.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna l'Agenzia delle entrate a rifondere al contribuente le spese del giudizio di legittimità.

Fonte immagine: Foto di Christelle Olivier da Pixabay
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