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OPERE D’ARTE: LA VALORIZZAZIONE SOTTINTENDE UN INTENTO SPECULATIVO

Opere d’arte: la valorizzazione sottintende un intento speculativo

La Corte di Cassazione propone ulteriori elementi utili a rintracciare un sottointeso intento speculativo che conduce alla tassazione

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Negli ultimi due anni diverse deliberazioni della Corte di Cassazione si sono occupate dell’imponibilità fiscale delle plusvalenze derivanti dall’alienazione di opere d’arte (ma il concetto può essere esteso al più generale ambito del collezionismo) da parte di un privato, quindi fuori dall’attività d’impresa.

La sensibilità della questione deriva dal fatto che, se nell’ambito di una attività economica organizzata la fattispecie non presenta dubbi o ambiguità, la stessa cosa non può dirsi nel caso in cui la cessione venga effettuata da un privato, non titolare di partita IVA, in relazione a un’opera da questi posseduta come collezionista.

Per questi casi, infatti, il legislatore non ha previsto norme specifiche, per cui, basandosi sulle norme generali applicabili, quando la cessione avviene da parte di un privato può configurarsi alternativamente:

  • la dismissione patrimoniale di una opera acquistata per finalità collezionistica, non imponibile ai fini delle imposte dirette;
  • un’attività commerciale occasionale, ex articolo 67 comma 1 lettera i) del TUIR, imponibile in quanto costituisce un reddito diverso.

L’elemento chiave, per il corretto inquadramento del caso specifico nell’una o nell’altra fattispecie, è l’eventuale intento speculativo, o la sua mancanza, che sta alla base dell’operazione.

Il problema, in questo modo reddito di intendere la questione, è che l’elemento speculativo è relativo a un piano soggettivo che è molto difficile da valutare.

Per un approfondimento sulla fiscalità della cessione di opere d’arte da parte di privati è possibile leggere l’articolo “Cessione di opere d’arte da parte di privati: il trattamento fiscale”, dello stesso autore.

1) La sentenza 19363/2024 della Corte di Cassazione

La sentenza numero 19363, pubblicata dalla Corte di Cassazione il 15 luglio 2024, aggiunge ulteriori elementi di valutazione a un quadro interpretativo già portato avanti dall’ordinanza 6874/2023, e dalle successive 1603/2024 e 1610/2024.

Nel caso specifico veniva analizzato il caso dell’avvenuta cessione di un Monet, effettuata da un privato, da cui era derivata una notevole plusvalenza.

Secondo l’interpretazione del contribuente, la cessione non doveva considerarsi imponibile, in quanto l’opera era stata acquistata con finalità collezionistica, era stata detenuta dal privato per diversi anni, e l’alienazione era funzionale all’acquisto di un’altra opera d’arte.

Di diverso avviso l’Agenzia delle Entrate che ha considerato il contribuente uno speculatore occasionale, che acquistava opere d’arte con l’intento di ottenere un occasionale profitto e, in considerazione di ciò, la plusvalenza doveva essere assoggettata a IRPEF come reddito diverso.

La Corte di Cassazione ha condiviso la posizione dell’Agenzia delle Entrate, fornendo ulteriori elementi utili a qualificare il sottinteso intento speculativo dell’operazione; più nello specifico, l’intento speculativo, nella situazione in esame, si deduceva dal fatto che il collezionista aveva:

  • incaricato una importante casa d’aste della vendita;
  • concesso l’opera in uso a musei, attività che tradirebbe la volontà di valorizzare il dipinto in prospettiva di una vendita;
  • realizzato una plusvalenza di ammontare molto elevato;
  • effettuato operazioni similari di compravendita anche in periodi precedenti e successivi, non rilevando il fatto che quella esame era stata l’unica nel periodo d’imposta.

In considerazione di ciò, secondo la Corte di Cassazione, sarebbe stato possibile dedurre un sottinteso intento speculativo, da cui derivava, poi, l’imponibilità dell’operazione.

A ben vedere, entrando nello specifico, alcune considerazioni della Corte sono anche opinabili; il prestito dell’opera a un museo non per forza deve avere lo scopo di valorizzare un’opera, e l’utilizzo di una casa d’aste costituisce un ordinario canale di vendita; così come il realizzo migliore possibile rappresenta un comportamento legittimo anche per chi acquista l’opera per mero collezionismo.

In ogni caso, ciò che è più importante e che si deduce dalla sentenza in esame è che, nell’impostazione attuale, la discriminante rappresentata dall’intento speculativo, per definire l’imponibilità o la non imponibilità di una cessione di un opera d’arte da parte di un privato, costituisce un elemento di valutazione, del tutto soggettivo, che non può che essere demandato di volta in volta al giudice, per la valutazione del caso specifico in base a delle presunzioni semplici; fatto che crea notevoli problemi applicativi, specialmente in un sistema del contenzioso tributario già ingolfato e caratterizzato da notevoli lungaggini.

Infine va precisato che questa impostazione, con ogni probabilità, verrà presto modificata dal legislatore, in quanto il punto in oggetto è tra quelli per cui è prevista la revisione in conseguenza dell’attuazione della legge delega per la riforma fiscale.

Sarebbe auspicabile che venissero chiarite delle specifiche situazioni di imponibilità e non imponibilità, in modo tale da superare un sistema basato sulle presunzioni semplici che strutturalmente indebolisce l’ordinamento e complica la vita del contribuente, dell’Agenzia delle Entrate e dei giudici tributari.

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