La Legge di bilancio 2025, come tradizione, prima si discute e poi si redige, e durante questo processo molte cose possono cambiare.
In questo momento nell’occhio del ciclone sono le plusvalenze derivanti dall’alienazione di criptovalute o, per meglio dire, utilizzando le parole del legislatore, delle cripto-attività, che sono un concetto più ampio, di cui le criptovalute sono solo una parte, se pure la più rilevante.
Come noto il trattamento fiscale dell’alienazione di queste attività derivanti da blockchain, in caso di realizzazione di una plusvalenza, si riassume nell’applicazione di una imposta sostitutiva, fino ad oggi con aliquota del 26%, allineata alle plusvalenze derivanti da redditi di natura finanziaria tradizionali.
Nella prima versione della Legge di bilancio era previsto un incremento dell’aliquota dell’imposta sostitutiva da applicarsi alle plusvalenze realizzate da alienazione di cripto-attività, nella considerevole misura del 42% a partire dal 2025.
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1) Le ultime novità
È notizia degli ultimi giorni che sembra esserci un ripensamento parziale dell’esecutivo su questo tema.
Tra le ipotesi in discussione c’è quella di aggiornare l’aliquota al 30%, ma solo a partire dal 2026, per cui, per il 2025, potrebbe restare la precedente aliquota del 26%.
Come dichiarato dal deputato della Lega Giulio Centemero, il ripensamento sarebbe “un tema geopolitico”, in quanto “allineati con Musk e Trump”, come già riportato dai principali quotidiani nazionali.
È infatti risaputo che Tesla sia una delle società con maggior numero di bitcoin in pancia e che accetti questa criptovaluta anche per il pagamento delle automobili vendute. Inoltre è fatto noto che l’entrante amministrazione Trump abbia tra gli obiettivi dichiarati quello di rendere le criptovalute una riserva strategica degli USA.
In realtà va puntualizzato che l’investitore, piccolo o grande che sia, interessato a questo genere di asset, potrebbe continuare ad avere una tassazione del 26% sulle plusvalenze realizzate semplicemente acquistando le stesse criptovalute per il tramite di un ETF o di altri strumenti finanziari derivati, come i Future o i CFD.
È difficile a dirsi se una aliquota del 42% sulle plusvalenze realizzate avrebbe disincentivato l’investimento o la speculazione in questi asset, o se avrebbe incrementato il gettito erariale, ma, in conseguenza di quanto sopra esposto, avrebbe potuto portare più risorse in direzione degli intermediari tradizionali. Infatti, mentre una criptovaluta potenzialmente può anche essere conservata su un wallet fisico, senza aggravio di costi per il suo proprietario, la detenzione di un derivato richiede necessariamente un intermediario.
Per contro, non è chiaro se il ripensamento sia davvero di natura geopolitica, dato che l’amministrazione nordamericana non è famosa per interessarsi alle aliquote fiscali applicate dagli altri paesi per la tassazione interna; ma comunque, per quello che interessa nel concreto l’investitore, come visto, pare la misura non troverà attuazione con la prossima Legge di bilancio.