L'accordo tra cliente e avvocato che preveda per il compenso una quota correlata all'esito della controversia è vietato dall'art 13. comma 4 della legge 2476 2012, mentre è permessa la correlazione del compenso al valore complessivo della controversia Questo quanto ribadito dalla Corte di Cassazione nella sentenza 23738 2024
Ecco maggiori dettagli sul caso e sulla decisione..
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1) Compenso professionale parametrato all'esito della lite: il caso
Il caso all' esame della Suprema Corte riguarda una controversia tra un cliente e il suo legale, relativa al pagamento dei compensi professionali per una causa di impugnazione di licenziamento.
Il tribunale di primo grado aveva considerato corretto che il cliente dovesse versare una percentuale sul risultato della causa al proprio avvocato, in conformità a un accordo stipulato tra le parti. L'accordo prevedeva che, in caso di esito positivo, il compenso dell’avvocato sarebbe stato pari al 15% delle somme ottenute dal cliente a titolo di retribuzioni arretrate, oltre a eventuali spese legali corrisposte dalla controparte.
La cliente ha impugnato la decisione, sostenendo che l'accordo violasse il divieto di patto di quota lite, regolato dall’art. 13, comma 4, della Legge n. 247/2012, in quanto il compenso dell’avvocato era legato al risultato concreto della lite e non semplicemente al valore della controversia.
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2) Quota-lite e compenso avvocato: la decisione della Cassazione
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, basandosi sul principio di diritto che vieta il cosiddetto "patto di quota lite", ossia un accordo tra avvocato e cliente in cui il compenso professionale dipenda dal risultato della causa. Secondo l’art. 13, comma 4, della Legge n. 247/2012, gli avvocati non possono percepire come compenso una quota del bene o dell’interesse oggetto del contenzioso.
La normativa infatti distingue tra:
- Compensi legati al valore della controversia, che sono consentiti. In questo caso, il compenso è stabilito indipendentemente dall’esito del processo, ma piuttosto sulla base del valore stimato del caso.
- Compensi legati al risultato pratico della lite, che sono vietati. Se il compenso dipende dall’esito favorevole del processo, si crea un legame diretto tra il risultato e la remunerazione dell’avvocato, il che compromette il distacco necessario che il professionista deve mantenere rispetto alla vicenda.
L’obiettivo del divieto del patto di quota lite è duplice:
- Tutela del cliente, per evitare che l'avvocato possa avere un interesse economico diretto nell’esito della lite, con conseguenti potenziali conflitti di interesse.
- Salvaguardia della dignità della professione legale, che risulterebbe compromessa nel momento in cui il compenso fosse legato in modo così stretto al risultato, anziché alla prestazione professionale erogata.
Nel caso di specie, il compenso del legale era stato parametrato all’esito della causa, poiché la percentuale del 15% era stata calcolata sulle somme effettivamente ricevute dal cliente a seguito della sentenza. Tale configurazione rientra nel divieto di patto di quota lite, poiché il compenso non era predeterminato in base al valore della controversia, ma dipendeva dall’esito concreto della causa, quindi dal risultato economico ottenuto.
La Cassazione ha dichiarato nullo l’accordo, cassando la sentenza del Tribunale di primo grado. La Corte ha stabilito tra laltro che, nonostante la nullità del patto di quota lite, l’avvocato ha comunque diritto a un compenso, che dovrà essere ricalcolato secondo le tariffe professionali, indipendentemente dall’esito del giudizio. ù
La decisione è stata rinviata al Tribunale per una nuova determinazione del compenso dovuto.
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